Contenzioso

Evadere l’Irap non è reato

di Salvatore Servidio

Nella vicenda oggetto della sentenza 4 settembre 2018, numero 39678, la terza sezione penale della Corte di cassazione ha affermato, al termine dell'articolata pronuncia con la quale è stato accolto un motivo di ricorso della parte contribuente, nell'ambito di una vicenda di evasione, che evadere l'Irap non è reato.


Materia del contendere - All'imputato si contestava di aver commesso il reato previsto dall'articolo 5 del Dlgs 10 marzo 2000 numero 74 perché, al fine di evadere le imposte sui redditi, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali dei redditi relativi a detta imposta, essendo l'imposta evasa superiore alla prevista soglia di punibilità.
In particolare, si ometteva di indicare componenti di reddito pari alla plusvalenza tassabile realizzata, fittiziamente allocata all'estero, con conseguente evasione di Ires, Iva ed Irap.
L'imputato ricorre per Cassazione sostenendo, limitatamente a quanto qui di interesse, violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione agli articoli 5 e 12-bis del Dlgs 74/2000, laddove è stata confermata la statuizione relativa alla confisca (articolo 322-ter del codice penale), atteso che il giudice di merito avrebbe del tutto erroneamente inserito nel calcolo dell'imposta evasa gli importi asseritamente dovuti a titolo di Irap e di Iva, benché le violazioni relative all'Irap non fossero penalmente sanzionate e la cessione di quote societarie sarebbe esente dall'Iva ai sensi dell'articolo 10 del Dpr 26 ottobre 1972, numero 633.


La decisione - Decidendo la vertenza, con la sentenza 39678/2018, la terza sezione penale, sull'aspetto qui valorizzato, accoglie parzialmente il ricorso dell'imputato affermando che l'Irap non concorre a determinare l'imposta evasa, in quanto ha natura reale e non incide sul reddito. Tant'è che l'ammontare del tributo non versato al fisco non può essere oggetto di sequestro.
Al riguardo viene osservato che il concetto di imposta evasa, a fini penali, si riferisce alla sola triade Irpef, Ires e Iva. Infatti, i richiami alla giurisprudenza costituzionale (sentenza 21 maggio 2001, numero 156) e comunitaria (Corte di giustizia 3 ottobre 2006, C- 475/03), permettono di precisare che si tratta di un'imposta a carattere reale che colpisce un fatto economico diverso dal reddito, dunque per un verso compatibile con un parallelo regime di imposizione sul reddito (o, per quel che qui rileva, di esclusione parziale o totale dello stesso) e per altro distinta dalla imposizione dell'Iva (in termini, Cassazione 31 gennaio 2018, numero 2389).
In particolare, il giudice di legittimità ha osservato che, ai fini dell'integrazione del modello legale dei fatti di reato tipizzati negli articoli 2, 3 e 5 del Dlgs 74/2000 , è sufficiente che il dolo specifico al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto e l'oggetto materiale della condotta investano alternativamente le imposte sui redditi o l'Iva, configurandosi il reato, in presenza di tutte le altre condizioni richieste per l'integrazione della fattispecie incriminatrice, con l'evasione, oltre soglia, di una soltanto delle due imposte. Il concetto di imposta evasa penalmente rilevante di cui all'articolo 1, lettera f, del Dlgs 74/2000 è riferito soltanto all'Irpef-Ires e all'Iva.
In sostanza, le uniche due imposte, la cui evasione può essere definita, in stretta aderenza al principio di legalità, come penalmente rilevante, sono le imposte sui redditi e l'Iva, con la conseguenza che fuoriescono dall'ambito oggettivo delle fattispecie le imposte non sussumibili nelle predette categorie o diverse da quelle tipizzate (come, ad esempio, l'imposta di registro o l'Irap) in quanto non ricomprese nel perimetro disegnato dalle norme penali tributarie.

La ratio dell'ipotizzato reato, indicato all'articolo 5 del Dlgs 74/2000, tutela il bene giuridico patrimoniale della percezione del tributo ed è alla mancata percezione d'imposta (sui redditi e dell'Iva), derivante dall'omessa presentazione di «una delle dichiarazioni relative a dette imposte» che deve farsi riferimento per l'individuazione del "profitto" del reato, quando sia stata superata la soglia di punibilità prevista dalla fattispecie incriminatrice (si veda, da ultimo, Cassazione 11 settembre 2018, numero 40323). Come conseguenza di ciò, sottolinea in conclusione sul punto la sentenza 39678/2018, nel caso di omessa dichiarazione, l'importo del tributo Irap non sarà calcolato ai fini di individuare il profitto confiscabile.

Peraltro, già in precedenza la Suprema corte (sentenze 22 marzo 2012, numero 11147; 30 marzo 2016, numero 12810) aveva stabilito che evadere l'Irap non è un reato e, infatti, l'ammontare del tributo non pagato non rientra nel profitto dell'illecito sequestrabile. Ciò perché non si tratta di un'imposta sui redditi in senso tecnico.
A condividere la tesi giurisprudenziale era stata la stessa Amministrazione finanziaria la quale, con circolare 4 agosto 2000, numero 154/E, ha argomentato che le dichiarazioni costituenti l'oggetto materiale dei reati tributari sono solamente le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni annuali Iva. Il documento di prassi motiva l'esclusione della dichiarazione Irap con la natura reale di tale imposta, ed in quanto tale non incidente sul reddito.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©