Contenzioso

Niente reversibilità se l’assegno divorzile è stato erogato in soluzione unica

di Matteo Prioschi

Non ha diritto alla pensione di reversibilità l'ex coniuge che ha percepito l'assegno di divorzio in un'unica soluzione. Così hanno deciso le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 22434/2018, sottolineando che il diritto all'assegno previdenziale presuppone la fruizione dell'assegno di divorzio al momento del decesso dell'ex coniuge.

Dovendo decidere in merito al ricorso presentato dall'ex moglie di un pensionato defunto, la prima sezione della Cassazione ha rimesso la questione alle sezioni unite rilevando un contrasto tra gli orientamenti di legittimità. In particolare, le sentenze 159 e 12540 del 1998 delle sezioni unite hanno sottolineato la natura previdenziale del diritto alla reversibilità, mentre la sezione lavoro (26168/2015 e 9054/2016), pur riconoscendo la natura previdenziale, ha escluso il diritto del coniuge divorziato se l'assegno è stato erogato in un'unica soluzione. Inoltre, alcune pronunce della prima sezione (13108/2010 e 16744/2011) ritengono ininfluente la modalità di erogazione dell'assegno di divorzio, in quanto quest'ultimo ha natura solidaristico-assistenziale, mentre la pensione ha natura previdenziale.

Le sezioni unite evidenziano innanzitutto che le decisioni del 1998 sono da ritenersi almeno in parte superate dalla successiva giurisprudenza, a partire dalla sentenza 419/1999 della Corte costituzionale secondo cui la pensione di reversibilità svolge una funzione solidaristica nei confronti del coniuge superstite «consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto» e nei confronti dell'ex coniuge che, avendo diritto a ricevere dall'ex marito pensionato «mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento», vede così «la continuità di questo sostegno e, per altro verso, la conservazione di un diritto, quello alla reversibilità di un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale». Il diritto alla reversibilità, secondo la Consulta, «non è inerente alla semplice qualità di ex coniuge, ma ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità attuale dell'assegno».

A seguito di tale sentenza, è stato superato l'utilizzo del solo criterio della durata dei matrimoni per ripartire la pensione tra coniuge superstite e quello divorziato. La ripartizione tiene conto di diversi elementi, partendo dall'ammontare dell'assegno divorzile. È stato quindi superato il fondamento della reversibilità nell'apporto «alla formazione del patrimonio comune e a quello dell'altro coniuge e nelle aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio». Il presupposto per il trattamento previdenziale è il venir meno del sostegno economico e il fatto che l'articolo 9 della legge 898/1970 riconosca il diritto all'assegno di reversibilità se l'ex coniuge non si è risposato, conduce a «correlare il diritto alla pensione di reversibilità all'attualità della corresponsione dell'assegno divorzile».

A fronte di questo ragionamento, il requisito «titolare dell'assegno» divorzile, contenuto sempre nell'articolo 9, significa che l'assegno deve essere effettivamente corrisposto al momento del decesso dell'ex coniuge. Il pagamento in unica soluzione comporta che il diritto all'assegno sia stato definitivamente soddisfatto e alla morte dell'ex coniuge non esista «una situazione di contribuzione economica periodica e attuale che viene a mancare».

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