Contenzioso

Il figurante televisivo non è un lavoratore subordinato

di Enrico De Luca, Elena Cannone, Antonella Iacobellis

Con ricorso depositato presso il Tribunale di Roma, un lavoratore eccepiva di aver prestato la propria attività lavorativa in regime di subordinazione, per due distinti periodi di tempo, in favore di una società di ideazione, realizzazione e produzione di programmi televisivi, nell'ambito di una trasmissione e di essere stato poi licenziato oralmente. Nello specifico il ricorrente sosteneva di (i) aver scritto le domande da sottoporre agli ospiti della trasmissione, (ii) avere partecipato tra il pubblico alla trasmissione; (iii) aver ricevuto durante il rapporto di lavoro ordini, direttive e disposizioni da parte dei preposti della società; (iv) essere stato tenuto all'osservanza di un orario di lavoro prestabilito, a richiedere l'autorizzazione per ogni sua assenza; (v) essersi visto comminare due sanzioni disciplinari; (vi) aver percepito un compenso fisso prestabilito in entrambi i periodi e di aver utilizzato strumenti e mezzi di proprietà della società nello svolgimento dell'attività lavorativa.
Il lavoratore conveniva anche in giudizio, in via subordinata, la società impegnata nella selezione dei figuranti, richiedendo così al giudice:
-l'accertamento e la dichiarazione della natura subordinata del rapporto di lavoro con ogni conseguenza di legge dal punto di vista retributivo e contributivo;
-il risarcimento del danno patito dovuto allo sfruttamento della sua immagine;
-l'inefficacia del licenziamento orale intimatogli con conseguente diritto alla reintegra nel posto di lavoro ed ogni ulteriore conseguenza di legge.
Il Tribunale rigettava le domande del ricorrente, condannalo al pagamento delle spese legali.
Avverso la decisione di primo grado, il lavoratore ricorreva in appello, forte dei seguenti motivi:
1.omessa verifica del carattere subordinato del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 61 D.Lgs. n. 276/2003;
2.omessa motivazione sul carattere subordinato del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 61 D.Lgs. n. 276/2003;
3.violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c;
4.omessa disamina dei vari capi della domanda.
La Corte d'Appello territorialmente competente (Corte di appello di Roma, sez. lav., sentenza 3.4.2018) riteneva infondato il primo e il secondo motivo, trattandoli, in considerazione della loro connessione logica, congiuntamente. Secondo i Giudici di secondo grado, infatti, la società di selezione del pubblico e dei figuranti nella propria memoria difensiva aveva evidenziato il carattere occasionale della prestazione svolta dal ricorrente, precisando che il pubblico e i figuranti venivano convocati per partecipare a trasmissioni televisive di volta in volta, compatibilmente con i loro impegni personali, e pertanto non esisteva ex ante un calendario prestabilito e concordato della loro presenza. Il lavoratore, invece, non aveva dedotto, sebbene l'onere della prova sul punto fosse a suo carico, la sussistenza di un accordo con una delle società convenute volto a disciplinare e garantire lo svolgimento delle sue attività per un certo numero di giorni mensili. Pertanto, a parere della Corte distrettuale, non poteva considerarsi sussistente il requisito della continuità della prestazione lavorativa.
Se ciò non bastasse, a parere della Corte, il lavoratore non aveva censurato, nel proprio ricorso, i passaggi della decisione di primo grado che contestavano la natura subordinata del rapporto di lavoro, limitandosi a riportare testualmente le deduzioni di diritto contenute ricorso di primo grado. Per tali ragioni, secondo la Corte, non poteva trovare accoglimento neppure il motivo di appello relativo al carattere subordinato del rapporto di lavoro intercorso.
Infine, la Corte non accoglieva neanche il motivo di appello relativo alla richiesta di risarcimento del danno asseritamente patito per sfruttamento dell'immagine, atteso che il ricorrente stesso aveva implicitamente acconsentito alla pubblicazione della sua immagine partecipando alla registrazione televisiva "univocamente destinata alla messa in onda". Sul punto, la Corte territoriale faceva leva su un pronuncia della Suprema Corte (sentenza n. 21172 del 2006) secondo cui "l'esposizione o la pubblicazione dell'immagine altrui, a norma dell'art. 10 c.c. e degli artt. 96 e 97 L. n. 633/41 è abusiva soltanto quando avvenga senza il consenso della persona o senza il concorso delle altre circostanze espressamente previste dalla legge come idonee a escludere la tutela del diritto alla riservatezza, quali notorietà del soggetto ripreso, l'ufficio pubblico dallo stesso ricoperto, la necessità di perseguire finalità di giustizia o polizia, oppure scopi scientifici, didattici o culturali, o il collegamento della riproduzione a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico, ma anche quando, pur ricorrendo quel consenso e quelle circostanze, l'esposizione o la pubblicazione sia tale da arrecare pregiudizio all'onere , alla reputazione o al decoro della persona medesima; ha inoltre statuito che il consenso all'esposizione o alla pubblicazione dell'immagine può anche essere implicito".
L'appello dunque veniva rigettato nella sua totalità.
In conclusione, stando al tenore della sentenza in commento, il figurante non può essere considerato un lavoratore subordinato, in quanto può liberamente scegliere se partecipare o meno alle trasmissioni televisive per le quali viene contattato.
A ciò aggiungasi che nel caso de quo il lavoratore non è riuscito a dimostrare il profilo della "continuità" del suo rapporto di lavoro né tantomeno che con due le società coinvolte esistevano precedenti accordi volti a disciplinare tempi, modalità e luoghi della sua prestazione lavorativa.

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