Contenzioso

Il rifiuto del lavoratore di svolgere mansioni difformi legittima il licenziamento

di Alberto De Luca e Gabriele Scafati

Con l’ ordinanza 24118 del 3 ottobre 2018, la Cassazione è tornata a pronunciarsi su legittimità e illegittimità del rifiuto opposto dal lavoratore alla richiesta datoriale di svolgere mansioni inferiori a quelle di diritto.

La vicenda trae origine dalla richiesta, rivolta ad un'addetta cuoca in istituto scolastico, di distribuire le colazioni dopo averle preparate. Respinta la richiesta e rifiutate le mansioni ritenute inferiori, la dipendente, previe alcune sanzioni disciplinari conservative, veniva licenziata e ricorreva in sede di merito per ottenere l'annullamento (oltre che delle sanzioni conservative) del licenziamento.

A seguito dell'annullamento del licenziamento in entrambe le sedi di merito, il datore di lavoro ricorreva dinanzi alla Corte di cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione delle disposizioni disciplinanti:
- la posizione di preminenza gerarchica dell'imprenditore rispetto ai dipendenti (art. 2086 cod. civ),
- la diligenza dovuta dal prestatore di lavoro (2104 cod. civ.)
- la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.).

La tesi difensiva, di fatto, si è in particolare basata sull'assunto che fossero stati erroneamente disapplicati i principi in forza dei quali il lavoratore non potrebbe rifiutarsi di eseguire una prestazione richiesta, se non a seguito dell'esperimento di azione giudiziale volta a richiedere ed ottenere «la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza».

La Cassazione ha accolto il ricorso datoriale, ribadendo che il rifiuto della prestazione lavorativa da parte del lavoratore è da ritenersi giustificato solo ove proporzionato e conforme a buona fede, alla luce di una valutazione complessiva del comportamento di entrambe le parti (inter alia, Cass. n. 12001/2003).

Specificamente, la Corte si è espressa descrivendo puntualmente il carattere residuale del rifiuto di svolgere mansioni inferiori (cosiddetta eccezione d'inadempimento): solo qualora l'inadempimento da parte del datore di lavoro risulti tanto grave da incidere in maniera irreparabile sulle esigenze vitali del lavoratore, o tanto da esporlo alla responsabilità penale connessa allo svolgimento delle mansioni difformi, il rifiuto del dipendente potrebbe ritenersi legittimo (inter alia, Cass. n. 836/2018, Cass. n. 12696/2012 e Cass. n. 25313/2007).

Pare dunque ormai consolidato, presso la Cassazione, l'orientamento meno garantista rispetto a quello precedentemente seguito dalla giurisprudenza di legittimità, che tendeva a riconoscere il diritto del lavoratore di rifiutare mansioni inferiori a quelle spettanti per legge e per contratto senza incorrere in ipotesi qualificanti la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo di licenziamento (inter alia, Cass. n. 3304/2008, Cass. n. 11439/2006 e Cass. n. 4342/1998).

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