Contenzioso

La Consulta «rivaluta» l’attività del giudice

di Angelo Zambelli

La sentenza della Corte costituzionale 194/2018 (si veda «Il Sole 24 Ore» del9 novembre)suscita più di un interesse: infatti, richiamati i contenuti precettivi degli articoli 4 e 35 della Costituzione in tema di diritto al lavoro e di tutela del lavoro in tutte le sue forme, la Corte si sofferma nel ricordare come il primo debba essere inteso come il diritto a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o a non subire un licenziamento arbitrario, mentre la tutela del lavoro comporti quale logica conseguenza il principio della necessaria giustificazione del recesso datoriale.

Sennonché, il giudice delle leggi riconosce come la tutela del lavoratore nei casi di licenziamento illegittimo, quanto a tempi e modi, possa essere discrezionalmente attuata dal legislatore ordinario senza che il bilanciamento degli opposti interessi imponga un determinato regime di tutela. La Corte costituzionale arriva a precisare che un meccanismo di tutela può essere di natura esclusivamente risarcitoria, purché rispettoso del principio di ragionevolezza.

E allora per quale motivo – viene da chiedersi – il Jobs Act è stato dichiarato incostituzionale?

Perché il meccanismo di quantificazione risarcitoria ivi previsto, interamente prestabilito dal legislatore in due mensilità per ogni anno di servizio, finisce per connotare tale indennità risarcitoria come assolutamente rigida, in quanto graduata sulla base della sola anzianità di servizio, e quindi inevitabilmente uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità.

Una tale uniformità assoluta, osserva la Consulta, assume le vesti di una liquidazione legale forfettizzata e standardizzata, neppure incrementabile a fronte della prova di un pregiudizio ulteriore. Ed è proprio nell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse, nel prestabilire interamente il quantum sulla base dell'unico parametro dell’anzianità di servizio, che la norma del Jobs Act contrasta con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza.

Atteso che è un dato di comune esperienza che il pregiudizio determinato da un licenziamento illegittimo possa variare di caso in caso, la Consulta ritiene che la tutela risarcitoria non possa essere ancorata a un unico parametro che, di fatto, toglie al giudice ogni e qualsiasi possibilità di valutazione discrezionale nel decidere la causa. È dunque sul venir meno della discrezionalità del giudice che la Corte costituzionale appunta la propria critica alla norma: in un sistema equilibrato di tutele, bilanciato tra i valori dell’impresa e il diritto al lavoro, la discrezionalità del giudice risponde all’esigenza di personalizzazione del danno subita dal lavoratore, imposta dal principio di uguaglianza. Infatti, la previsione di una misura risarcitoria uniforme e standardizzata si traduce in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere e sono nei fatti differenti.

La mozione di sostanziale sfiducia effettuata dal legislatore del Jobs Act nei confronti dell’attività giurisdizionale viene dunque bocciata senza appello dalla Consulta, rimettendo così al centro della scena la magistratura del lavoro.

La sentenza n. 194/18 della Corte costituzionale

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