Contenzioso

Il dipendente che litiga può essere trasferito

di Giulia Bifano e Massimiliano Biolchini

Il trasferimento del dipendente dovuto a incompatibilità ambientale non ha natura disciplinare, ma è connesso alle esigenze tecniche, organizzative e produttive del datore di lavoro e, in particolare, alla necessità di avere un'unità produttiva organizzata e funzionale. Pertanto, la legittimità del provvedimento prescinde dall'accertamento della responsabilità dei lavoratori trasferiti e non è subordinata all'osservanza delle garanzie previste per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari.

Lo ha ribadito la Corte di cassazione con l'ordinanza 27226/2018, decidendo sul ricorso di un lavoratore che, trasferito a seguito di un diverbio avuto con una propria collega, ha contestato la natura disciplinare del provvedimento, comprovata a suo dire dalla mancata dimostrazione, da parte della società, dell'esigenza di maggiore personale nella nuova sede.

Dopo aver visto accertata l'illegittimità del trasferimento dal tribunale di Roma, il dipendente ha impugnato la decisione della Corte d'appello di Bologna che, recependo i più recenti orientamenti della Corte di cassazione, ha integralmente riformato la sentenza resa in primo grado. I giudici d'appello hanno anzitutto rilevato come il trasferimento del lavoratore traesse origine da un accesso diverbio avvenuto tra quest'ultimo e una propria collega, a seguito del quale la seconda ha richiesto alla società, tramite il proprio legale, di essere messa in condizione di non dovere più incontrare il dipendente.

Tenuto conto delle piccole dimensioni dell'ufficio, nell'ambito del quale non era possibile evitare che i due colleghi si incontrassero, oltre che al clamore che l'episodio aveva sollevato in una simile struttura, la Corte d'appello ha ritenuto accertato che il trasferimento disposto dal datore di lavoro sia stato determinato non da un intento sanzionatorio, ma dall'esigenza di risolvere una situazione di conflittualità il cui permanere avrebbe potuto compromettere il funzionamento dell'unità produttiva. Dunque, hanno concluso i giudici di secondo grado, si deve ritenere accertata la legittimità del trasferimento in quanto connessa a legittime esigenze tecnico produttive del datore di lavoro.

Investita della questione, la Corte di cassazione ha integralmente confermato le conclusioni rese in sede d'appello, richiamando a questo proposito alcuni propri precedenti in base ai quali «è legittimo il trasferimento del lavoratore disposto per incompatibilità aziendale, qualora tale incompatibilità determini disorganizzazione e disfunzione nell'unità produttiva, integranti un'obiettiva esigenza datoriale di modifica del luogo di lavoro».
A tale proposito, la Corte ha sottolineato come l'indagine del giudice sulla legittimità di un trasferimento debba limitarsi a una valutazione sulla condizione oggettiva in cui versa l'unità produttiva, dovendosi a questo proposito accertare se «il provvedimento del trasferimento possa o meno essere annoverato tra gli strumenti che razionalmente il datore di lavoro può impiegare per rimuovere la situazione suscettibile di pregiudicare l'ordinato svolgimento dell'attività».

Compiuta questa verifica, ribadisce la Cassazione, rimane insindacabile il merito della scelta imprenditoriale di ricorrere al trasferimento piuttosto che a provvedimenti alternativi: affinché la società disponga legittimamente il mutamento di sede del dipendente, dunque, non è necessario che ciò sia inevitabile, essendo invece sufficiente che il trasferimento rappresenti una delle opzioni ragionevolmente possibili per rispondere a oggettive esigenze di natura produttiva organizzativa, incluse quelle connesse al mantenimento di un ambiente lavoro sereno.

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