Contenzioso

Designare il responsabile della prevenzione non scagiona il datore di lavoro

di Luigi Caiazza

La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e, pertanto, non è sufficiente a sollevare il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

È questo uno degli aspetti normativi che la Corte di cassazione, quarta sezione penale, ha espresso con la sentenza 51321/2018. Del resto, come è stato giustamente precisato, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, secondo l'articolazione che ne dà il Dlgs 81/2008 (testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere decisionale.

Il responsabile, in occasione di un infortunio, risponde a titolo di colpa professionale, unitamente al datore di lavoro, degli eventi dannosi derivati dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio, dovuti a imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, che abbiano indotto il datore di lavoro a omettere l'adozione di misure di prevenzione doverose. Da non trascurare poi che il responsabile del servizio, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli.

Da aggiungere che, pur in assenza di una previsione di legge che preveda sanzioni penali a suo specifico carico, questi può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro o anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a evitare tale situazione.

Nel caso specifico, un lavoratore, nell'effettuare la manovra di scarico di inerti da un autocarro, non ha rispettato la distanza di sicurezza ed è precipitato con esso da un'altezza di oltre 10 metri, decedendo. Seppure assolti in primo grado, sia il datore di lavoro che il responsabile del servizio, sono stati condannati entrambi in appello a cui è seguito il ricorso per Cassazione.

La Corte territoriale ha ritenuto che l'avvenuto riconoscimento della condotta errata da parte dell'autista non valeva a esonerare il datore di lavoro dalla sua responsabilità, non avendo lo stesso approntato le necessarie misure di sicurezza e soprattutto non risultando assolutamente imprevedibile l'errore, in cui è incorso il dipendente, determinato da molteplici fattori tra cui anche la visibilità in un momento in cui i raggi rasenti del sole impedivano la vista e non vi erano sul posto né segnalazioni visibili, né qualcuno a guidare la manovra che veniva svolta in retromarcia.

Del resto l'eventuale colpa del lavoratore, come ha rimarcato la Suprema corte, concorrente con la violazione della norma antinfortunistica in capo al datore di lavoro, esime quest'ultimo dalla sua responsabilità solo quando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere.

la sentenza 51321

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