Contenzioso

La chiusura con licenziamenti impone sempre di comunicare i nomi

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

Al termine di una procedura di licenziamento collettivo, la comunicazione finale (da effettuare entro sette giorni) con il nominativo dei lavoratori in eccedenza e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta deve essere soddisfatta anche in caso di totale cessazione dell’attività aziendale. La Cassazione ha reso questa pronuncia con la sentenza 89/2019, escludendo che la chiusura dell’impresa possa rendere priva di utilità la funzione di controllo riservata alle organizzazioni sindacali sull’effettività della scelta del datore di lavoro.

L’articolo 4, comma 9 della legge 223/1991 stabilisce che, entro sette giorni dalla conclusione della procedura collettiva di riduzione del personale, l’impresa comunichi alle organizzazioni sindacali e agli enti territoriali l’elenco dei dipendenti licenziati e le modalità attraverso cui sono stati applicati i criteri di scelta nella selezione degli esuberi.

La particolarità del caso sottoposto alla Corte di cassazione risiedeva nella circostanza che, a monte della decisione di avviare la procedura di licenziamento collettivo in base alla legge 223/1991, vi era la cessazione dell’attività aziendale, dalla quale derivava l’interruzione di tutti i rapporti di lavoro. Sul rilievo che, ricorrendo questa specifica ipotesi, non si registrava la sopravvivenza di nessun rapporto di lavoro, nei due gradi di merito l’impugnazione del licenziamento è stata respinta.

Ad avviso della Corte di appello di Palermo era, in questo senso, irrilevante il rispetto della previsione normativa sui sette giorni per la comunicazione finale con il nominativo dei lavoratori in esubero e le modalità attraverso cui erano stati selezionati i dipendenti in eccedenza, posto che il recesso interessava la totalità dei lavoratori occupati dall’impresa.

La Cassazione non concorda con questa lettura e riforma la decisione della Corte territoriale, osservando che, anche in presenza di un licenziamento collettivo per cessazione di attività, la violazione del termine di sette giorni per la comunicazione finale comporta l’illegittimità dei recessi, con conseguente applicazione della sanzione risarcitoria a carico del datore.

A conforto della propria conclusione, la Suprema corte osserva che, nei lavori parlamentari preparatori della legge, il testo iniziale escludeva dalla comunicazione finale l’ipotesi della cessazione dell’attività di impresa per effetto di provvedimento giudiziario, laddove il testo definitivo della legge non contempla più tale esimente.

Aggiunge la Cassazione che l’utilità del controllo finale sull’applicazione dei criteri di scelta e sul nominativo dei lavoratori in esubero permane davanti a una chiusura aziendale, posto che anche in tale ipotesi va verificata la possibilità di ridurre le conseguenze della crisi di impresa sui livelli occupazionali.

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