Contenzioso

La consulenza tecnica basta per il fumo passivo

di Uberto Percivalle e Giulia Spalazzi

Con l'ordinanza 276/2019 la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal datore di lavoro contro la sentenza della Corte d'appello di Messina con cui lo stesso era stato condannato al pagamento del risarcimento del danno biologico a favore di una dipendente che, esposta a fumo passivo in costanza di rapporto, aveva contratto un tumore faringeo e conseguentemente riportato postumi permanenti in misura pari al 40 per cento.

In particolare la Corte, sulla base della consulenza tecnica d'ufficio svolta nel giudizio di merito, ha sancito che era ravvisabile una causa professionale nell'insorgenza di tale neoplasia, da ricondursi all'essere stata la lavoratrice esposta quotidianamente, e per circa 14 anni, a fumo passivo, lavorando in locali di ridotte dimensioni e saturi di fumo di sigaretta e, come tali, insalubri. La Corte ha quindi escluso l'ascrivibilità della patologia ad altri fattori, quali il consumo di alcol o la familiarità con altre malattie professionali.

Sono state ritenute infondate le doglianze del datore di lavoro, secondo cui la Corte distrettuale si era limitata a confermare acriticamente le risultanze della Ctu, non considerando debitamente l'intervallo temporale di circa 6 anni tra l'insorgenza della malattia e la cessazione del rapporto di lavoro, né valutando correttamente il quadro patologico a carico della lavoratrice.

La Suprema corte, infatti, ha stabilito che nei giudizi aventi ad oggetto postumi invalidanti, come quelli dovuti a malattie professionali conseguenti a violazioni delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro, il vizio di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni della Ctu è ravvisabile solo in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica - la cui fonte va peraltro indicata dal ricorrente - o in caso di omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non poteva prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi. In caso contrario, la censura costituisce mero dissenso diagnostico, che si traduce in un'inammissibile critica circa il convincimento del giudice di merito.

Sulla causa professionale per l'insorgenza di patologie neoplastiche a seguito di esposizione a fumo passivo sul luogo di lavoro si era espressa anche la sentenza 2227/2017 del Tribunale di Palermo, sezione lavoro, che aveva condannato la Regione Sicilia a un maxi risarcimento di oltre 1,5 milioni di euro a favore degli eredi di una lavoratrice, esposta per oltre 21 anni al fumo passivo sul luogo di lavoro e deceduta per un adenocarcinoma polmonare. Per il giudice palermitano tale patologia professionale era insorta per aver il datore di lavoro, in palese violazione dell'articolo 2087 del codice civile, omesso ogni misura idonea alla tutela della salute della lavoratrice che, per tutta la durata del rapporto di lavoro, fu costretta dapprima a lavorare quotidianamente in stanza con tre colleghi, tutti fumatori, senza alcun sistema di aereazione e successivamente, trasferita al ricevimento del pubblico, esposta anche al fumo passivo dell'utenza, nuovamente in assenza di qualsivoglia presidio o divieto che impedisse al pubblico di fumare. Sentenza, quella del Tribunale di Palermo, mai impugnata dal datore di lavoro e passata quindi in giudicato. In entrambi i casi i due datori di lavoro non hanno potuto fare altro che pagare i risarcimenti e le spese di lite, essendo la salute dei lavoratori bene fondamentale tutelato anche a livello costituzionale (articolo 32 della Costituzione).

Ricordiamo che il divieto di fumo nei luoghi di lavoro fu introdotto in Italia con legge 3/2003, per iniziativa del ministro Girolamo Sirchia. L'iniziativa diede all'Italia il primato temporale di questa misura a tutela della salute e fu seguita da analoghe iniziative in altri paesi europei. Ciononostante, secondo il consolidato insegnamento della Cassazione, il fatto che il divieto legislativo sia intervenuto così tardi, non fa venir meno le possibili responsabilità aziendale per i rischi alla salute (circostanza questa che porta le aziende a prestare attenzione all'eventualità di sottostimare i rischi derivanti dalla introduzione di nuove tecnologie e lavorazioni).

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