Contenzioso

Gestione commercianti, sottoposizione a contribuzione degli utili percepiti da altra società

di Silvano Imbriaci

La vicenda da cui origina la sentenza della Cassazione Sezione Lavoro, 21 gennaio 2019, n. 1505, riguarda la richiesta da parte dell'Inps di differenze contributive alla gestione commercianti rivolta ad un socio e amministratore unico di s.r.l. in relazione ad utili percepiti in quanto socio di altra società (s.a.s.), tra l'altro attiva nel diverso settore di inquadramento dell'industria. La questione da risolvere, e della quale non può sfuggire la rilevanza pratica, è dunque quella della composizione del contributo annuo dovuto alla gestione commercianti nella misura in cui la legge (articolo 3 bis del Dl 384/1992, conv. in l. n. 438/1992) dispone che sia rapportato alla totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini Irpef per l'anno al quale i contributi stessi si riferiscono. Le incertezze interpretative derivano anche da una circostanza concreta: nelle istruzioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi (mod. Unico) predisposte e compilate dal ministero delle Finanze, gli utili prodotti dalla società e attribuiti ai soci non concorrono alla determinazione del reddito su cui calcolare e versare i contributi previdenziali relativi ad un settore diverso. In altri termini, seguendo queste indicazioni, il reddito derivante dall'attività svolta in un settore diverso rispetto a quello del commercio non acquisterebbe alcun rilievo ai fini del calcolo del contributo previdenziale.

La Corte risolve la controversia sulla base di una lettura piana delle norme di riferimento. L'articolo 3 bis citato prevede, infatti ,che a decorrere dall'anno 1993 l'ammontare del contributo annuo per i soggetti di cui all'articolo 1 della legge n. 233/1990, è rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef per l'anno al quale i contributi stessi si riferiscono. Occorre innanzitutto precisare che i redditi derivanti dalla partecipazione a società di persone (snc e sas), da qualsiasi fonte provengano, sono considerati a tutti gli effetti redditi d'impresa (cfr. articolo 6, comma 3, Dpr n. 917/1986) e sono regolati in modo unitario secondo le norme relative a tali redditi. Quindi, anche se tali redditi siano percepiti dal socio accomandante devono essere computati nella base imponibile contributiva. Vi è poi, nell'articolo 3 bis citato, il riferimento alla totalità dei redditi d'impresa, la cui interpretazione volta a ricomprendere tutti i redditi d'impresa assume ancora maggiore fondatezza se la norma è riletta in raffronto con la precedente normativa (articolo 1, legge n. 233/1990) che invece indicava la base imponibile del contributo annuo di cui trattasi, al 12% del reddito annuo derivante dall'attività di impresa che dà titolo all'iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef , relativo all'anno precedente. Scompare dunque, con la nuova indicazione normativa, il collegamento con l'attività d'impresa che dà titolo per l'iscrizione alla gestione, assumendo rilievo centrale la percezione di redditi d'impresa denunciati ai fini Irpef nella loro globalità, in funzione di un innegabile allargamento della base contributiva. Si tratta di una scelta discrezionale del legislatore, che se da una parte è disposto a trattare in modo diverso i redditi di capitale del socio delle società dotate di personalità giuridica (esenti da contribuzione) e i redditi d'impresa di cui fruisce il socio di società di persone, dall'altra assicura in questo modo un ampliamento della base pensionabile, con evidenti riflessi anche sulla misura del trattamento pensionistico (cfr. Corte Cost. n. 354/2001). Il fatto che la contribuzione sia commisurata e rapportata anche a redditi non corrispondenti solo ed esclusivamente a rapporti di lavoro costituisce espressione dell'apporto finanziario al sistema di cui si fa carico la collettività in generale, anche in funzione della convergenza tra settore previdenziale e settore fiscale. Il fatto che le istruzioni per la compilazione dei modelli reddituali avessero esposto altre indicazioni, pare circostanza del tutto irrilevante, non essendo neanche oggetto di disamina da parte della Corte. Si tratta, infatti, di disposizioni a carattere amministrativo, non in grado, sia pure in situazioni di probabile incertezza interpretativa, di derogare alle indicazioni normative anche come interpretate in via giurisprudenziale.

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