Contenzioso

Infortuni, la condotta anomale del lavoratore pesa solo in presenza di misure di sicurezza idonee

di Luigi Caiazza

In materia di infortuni sul lavoro, ai fini della individuazione del criterio idoneo a discriminare il comportamento “anomalo” da quello che non lo è, la Corte di cassazione, Sez. IV ha ritenuto di includere anche l'inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione, però, che l'infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro.

Lo si evince dalla recente sentenza n. 58272/18 con la quale la Suprema Corte ha respinto il ricorso contro la sentenza di condanna emessa in entrambi i gradi di giudizi di merito a seguito di un infortunio occorso a due lavoratori. La vicenda si riferisce all'investimento da vetri curvi rotti e dal bancale sul quale erano appoggiati in danno di due lavoratori, che restavano momentaneamente ivi imprigionati riportando gravi lesioni. La responsabilità veniva contestata all'amministratore della società datrice di lavoro in quanto le lesioni sarebbero state determinate da imprudenza, negligenza e imperizia in violazione degli articoli 28 e 71, del Dlgs n. 81/2008 (Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro), per avere omesso di valutare nel documento unico di valutazione dei rischi (Duvri) quello connesso all'uso dei bancali di appoggio dei vetri e per non aver messo a disposizione dei lavoratori un bancale idoneo al deposito dei vetri lavorati.

Con l'occasione la sentenza richiama le pronunce della Cassazione nelle quali si è ritenuto che il comportamento del lavoratore avesse interrotto il nesso di causalità tra l'azione e l'omissione del datore di lavoro e l'evento.

E' il caso del lavoratore il quale, dopo aver scavalcato le catenelle poste a riparo di una vasca termale con fango a circa 80 gradi, superava i segnali di pericolo, percorreva il bordo della vasca stessa ma, scivolando, vi precipitava dentro trovando la morte.

Più incredibile il caso, sempre mortale, occorso ad un lavoratore che per riparare la pala meccanica che si era bloccata, vi si portava nella parte sottostante e, sbloccata la frizione difettosa, veniva travolto dal mezzo che, muovendosi, lo travolgeva. E' evidente che nella circostanza, esclusa la responsabilità del datore di lavoro, emergeva la condotta esorbitante del lavoratore dal procedimento cui era addetto. In tale contesto si inserisce altresì il principio secondo cui la condotta esorbitante del lavoratore deve risultare incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro, tali non essendo i comportamenti tipici del lavoratore abituato al lavoro di routine. E' stato quindi ribadito il principio per cui grava sul datore di lavoro di dominare ed evitare l'instaurarsi da parte dei destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli.

La sentenza coglie, infine, l'occasione per indicare i presupposti necessari per far valere il “vizio di travisamento della prova” in sede di ricorso per Cassazione, in applicazione della nuova formulazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e) del Codice di procedura penale, pena inammissibilità del ricorso stesso, per cui il ricorrente deve:
a) indicare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza;
b) indicare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata:
c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
d) indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità all'interno del piano argomentativo del provvedimento impugnato.

La sentenza n. 58272/18 della Corte di cassazione

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