Contenzioso

La sentenza della Consulta e l’aumento degli importi scoraggiano le conciliazioni

di Aldo Bottini

La sentenza 194/2018 della Corte Costituzionale, al di là dei giudizi e dei dibattiti dottrinali suscitati, ha avuto una rilevante e immediata conseguenza pratica: la maggiore difficoltà di trovare accordi conciliativi sulle controversie in materia di licenziamento. I lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 avevano diritto, in caso di licenziamento illegittimo (a parte le ipotesi residue di reintegrazione), a un risarcimento automaticamente (pre)determinato in relazione alla sola anzianità di servizio. Una soluzione normativa ritenuta dalla Corte in contrasto con i principi costituzionali, ma che aveva senza dubbio l’effetto di spingere fortemente la conciliazione.

Viceversa oggi il lavoratore, soprattutto in una situazione ancora incerta per quanto concerne i criteri da utilizzare nella quantificazione del risarcimento, può legittimamente aspirare ad un’indennità che può arrivare, grazie all’interazione tra la sentenza e il decreto 87/2018, fino a 36 mensilità di retribuzione. Addirittura più di quanto possano ottenere, in termini di risarcimento, i lavoratori che, in quanto assunti prima del 7 marzo 2015, hanno mantenuto l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (nella versione modificata nel 2012 dalla legge Fornero). Al punto che gli accordi individuali e collettivi per la conservazione della normativa pregressa anche in capo ai nuovi assunti, fino a prima della sentenza piuttosto diffusi, sono oggi fortemente disincentivati. In questa nuova situazione, anche grazie all’ampiezza della forbice tra minimo (6) e massimo (36) dell’indennità, è certamente più difficile trovare un punto di caduta transattivo.

Il lavoratore, anche con un’anzianità medio-bassa, tenderà a rifiutare offerte conciliative lontane dal limite massimo, nella speranza di poter ottenere dal giudice, per effetto della sua valutazione discrezionale, un importo che ad esso si avvicini. Del resto anche l’uso di un criterio di mediazione per così dire “salomonico”, la classica via di mezzo tra minimo e massimo, porterebbe in questo caso ad un importo particolarmente alto (21 mensilità), addirittura vicino al massimo ottenibile dai lavoratori soggetti all’articolo 18. Un costo notevole, che difficilmente le aziende saranno disponibili ad accollarsi in via transattiva, e che appare francamente sproporzionato soprattutto considerando che oggi la platea dei destinatari di questo meccanismo di tutela non arriva a quattro anni di anzianità e, quindi, prima della decisione della Corte avrebbe ottenuto solo sei mensilità di risarcimento. Insomma, è già in atto un forte decremento delle conciliazioni in materia di licenziamento, che si tradurrà in un corrispondente aumento del contenzioso e delle decisioni giudiziali. Almeno finché non si assesti un orientamento giurisprudenziale conforme e consolidato sui criteri da utilizzare per quantificare l’indennità risarcitoria dovuta in caso di accertata illegittimità del licenziamento.

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