Contenzioso

Riunioni dei direttivi sindacali, permessi controllabili dal datore

di Giampiero Falasca

Il dipendente che richiede un permesso per partecipare alle riunioni degli organismi direttivi sindacali di cui è membro ma poi, di fatto, fa un uso personale del tempo concesso può essere licenziato, in quanto l’assenza dal lavoro si qualifica come mancato svolgimento della prestazione per fatto imputabile al lavoratore.

E il datore di lavoro è legittimato a svolgere controlli circa le modalità di effettiva fruizione del permesso.

Cosi la Corte di cassazione con la sentenza n. 4943 depositata ieri, che ha accertato la validità del licenziamento intimato da un’azienda nei confronti di un dipendente che aveva utilizzato dei permessi sindacali per svolgere attività di natura ricreativa, del tutto avulse dall’attività sindacale. Il licenziamento era stato convalidato in primo grado ma dichiarato illegittimo in sede d’appello. La diversa interpretazione nei due gradi di giudizio ruotava intorno all’interpretazione giuridica del permesso fruito dal dipendente.

Secondo la Corte d’appello di Venezia, l’eventuale abuso dei permessi non avrebbe potuto produrre alcuna conseguenza risolutiva del rapporto di lavoro, potendo giustificare – al massimo – la decisione di trattenere la retribuzione per le ore di assenza.

La sentenza della Cassazione non condivide questa lettura, rilevando che lo Statuto dei lavoratori prevede due diverse tipologie di permesso: quelli previsti dall’articolo 23, che riconosce ai dirigenti delle Rsa (e delle Rsu) permessi retribuiti per l’espletamento del loro mandato, e quelli regolati dall’articolo 30, che accorda ai membri degli organi direttivi del sindacato dei permessi finalizzati a consentire la partecipazione alle riunioni degli organi medesimi.

Secondo la Corte di legittimità queste due tipologie di permessi hanno una disciplina differente: quelli riconosciuti dall’articolo 23 sono funzionali all’espletamento del mandato sindacale e, come tali, non possono essere oggetto di controlli, mentre quelli concessi ai sensi dell’articolo 30 hanno una finalità specifica: possono essere utilizzati solo per consentire la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi del sindacato.

In presenza di tale finalità, il datore di lavoro è legittimato ad effettuare controlli per verificare se la partecipazione alla riunione è effettivamente avvenuta e può applicare una sanzione, in caso di accertamento di un abuso, in quanto l’assenza del dipendente dal lavoro si considera mancato svolgimento della prestazione per causa a lui imputabile.

La Corte non conclude definitivamente la vicenda, ma rinviare la controversia in sede di appello, dove i giudici dovranno riesaminare la vicenda applicando i principi sopra descritti.

Pertanto, non è ancora scontato l’esito definitivo della lite; tuttavia, la portata dei principi affermati dalla sentenza resta molto rilevante, in quanto riconosce la possibilità di controllare le modalità di effettivo utilizzo dei permessi rilasciati ai sensi dell’articolo 30 dello Statuto e, soprattutto, chiarisce in maniera definitiva che dall’utilizzo scorretto può discendere una sanzione espulsiva.

La sentenza n. 4943/19 della Corte di cassazione

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