Contenzioso

Chiusura reparto, leciti i recessi decisi in base a criteri oggettivi

di Angelo Zambelli

Con la sentenza n. 7591/19, depositata ieri, la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla questione della delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri di scelta ex articolo 5, comma 1, della legge. n. 223/91, nell'ipotesi in cui il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un reparto o ad una specifica attività aziendale.
Nel caso in esame la Corte d'appello di Salerno aveva accolto il reclamo della società datrice di lavoro contro la decisione di primo grado, dichiarando la legittimità del recesso intimato al lavoratore.
Contro tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il lavoratore sulla base di plurimi motivi. In particolare e per quanto qui interessa, il dipendente impugnava la pronuncia resa dalla Corte territoriale eccependo la violazione del principio secondo cui «quando i dipendenti sono in possesso di professionalità equivalenti la riduzione di personale deve investire l'intero ambito aziendale e non limitarsi a dipendenti addetti ai reparti in esubero».
La Corte di legittimità - nel rigettare il ricorso del lavoratore e nel richiamare i propri precedenti n. 203/15 e n. 22655/12 – ha ribadito che qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere legittimamente limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali connesse al progetto di ristrutturazione aziendale.
Tuttavia – prosegue la Corte - il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità fungibile con quella di addetti ad altre realtà organizzative.
Nel caso di specie, è stato ritenuto pienamente conforme ai principi sopra descritti il comportamento della società che aveva individuato, nell'ambito del criterio delle esigenze tecnico, produttive ed organizzative, quattro sottocriteri (ovverosia: «presenza»; «posizioni dichiarate in esubero»; «polivalenza» e «provenienza attività dismesse») con attribuzione di differenti punteggi per ciascuno di essi: tale articolazione – come precisato dalla Corte territoriale – rispondeva proprio alla finalità di evitare che la selezione riguardasse esclusivamente i lavoratori impiegati nei reparti da sopprimere, così garantendo la «comparazione tra tutti coloro» aventi professionalità «equivalenti».
Sennonché una valutazione siffatta, nel senso dell'avvenuta comparazione tra tutti i lavoratori fungibili, deve ritenersi riservata all'apprezzamento di merito della Corte territoriale e come tale – conclude la Cassazione – non censurabile in sede di legittimità.
Indirettamente, risulta confermato l'orientamento giurisprudenziale che ritiene la sussistenza di una griglia basata su fattori o criteri oggettivi e predeterminati nella comparazione dei lavoratori quale condizione di legittimità per qualunque scelta operata dal datore di lavoro in caso di licenziamento collettivo.

La sentenza n. 7591/19 della Corte di cassazione

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