Contenzioso

Sì alla reintegra del lavoratore se il fatto sussiste ma non è illecito

di Monica Lambrou

La reintegra attenuata prevista dall’articolo 18, comma 4 dello Statuto dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo si applica non soltanto quando il fatto contestato al lavoratore sia del tutto infondato o inesistente, ma anche in tutti i casi in cui sia sussistente, ma la condotta messa in atto dal dipendente non sia illecita per l’ordinamento giuridico. È il principio stabilito dalla Cassazione, anche nella sentenza 3655 del 7 febbraio 2019. Nel caso specifico, a un dipendente era stato intimato licenziamento disciplinare per aver svolto una seconda attività lavorativa in un periodo di malattia. La Suprema corte ha riconosciuto una tutela reintegratoria al lavoratore e ciò «per insussistenza del fatto», nonostante non ci fosse dubbio sull’effettivo svolgimento dell’attività da parte del dipendente. Infatti, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, la previsione stabilita dall’articolo 18, comma 4 si applica non soltanto alla circostanza per la quale il fatto contestato dal datore di lavoro sia del tutto infondato o inesistente, ma altresì in tutti i casi in cui esso sussista ma la condotta del dipendente non sia illecita per l’ordinamento giuridico.

In altri termini, come argomentato dalla Corte, «l’irrilevanza giuridica del fatto (pur accertato) equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione» (si veda, ancora la sentenza della Cassazione 3655/2019), cosicché può dirsi che l’elemento dell’antigiuridicità «diventa anch’esso parte integrante del fatto materiale soggetto ad accertamento» (si veda anche la sentenza della Corte d’appello di Torino del 10 gennaio 2019).

Dapprima con la legge 92/2012, e poi con il Dlgs 23/2015, il legislatore italiano ha innovato profondamente la disciplina della tutela reale piena da applicare al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. A partire dall’approvazione della legge 92/2012, sono stati rivisti i presupposti per la tutela reale contro il recesso datoriale, consistente nella reintegrazione del lavoratore sul luogo di lavoro. Accanto all’ipotesi delle tutela reale piena (riconosciuta quando il licenziamento sia discriminatorio, nullo o intimato in forma orale) entrambi gli interventi legislativi richiamati ne hanno, altresì, previsto una forma attenuata per i casi di «ingiustificatezza qualificata» e, in particolar modo, prevedendo che il lavoratore abbia diritto alla reintegrazione, al versamento dei contributi previdenziali e a un’indennità risarcitoria non superiore a dodici mensilità (dalla data del recesso sino a quella dell’effettiva reintegra) ogni volta in cui il giudice accerti l’insussistenza del fatto materiale contestato (legge 300/1970, articolo 18, comma 4). È opportuno quindi interrogarsi sulle ipotesi concrete per le quali un fatto può intendersi effettivamente insussistente e sulla portata della norma alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale. Infatti, la nozione richiamata ha subito, per motivi sia logici che giuridici, un significativo ampliamento in sede interpretativa.

Il giudice è chiamato anche ad affermare l’insussistenza del fatto, con tutela annessa, se, a prescindere dal suo effettivo verificarsi, il datore di lavoro non dia luogo ai necessari adempimenti in materia di contestazione dell’addebito e, in linea generale, non rispetti quanto prescritto, a garanzia dei diritti del lavoratore, dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori (si veda la sentenza della Cassazione 30985 del 27 dicembre 2017).

Appare peraltro evidente come - analogamente a questa ipotesi e secondo la stessa ratio esposta – la stessa forma di tutela (reintegratoria) debba essere riconosciuta se il fatto contestato sia concretamente avvenuto, ma la condotta non sia imputabile al lavoratore licenziato. Ciò accade, ad esempio, quando non venga offerta idonea prova dell’effettiva commissione da parte del dipendente censurato. È effettivamente implausibile la configurazione di una responsabilità disciplinare «per un fatto fenomenicamente accaduto ma non attribuibile al lavoratore al quale è stato contestato» (si veda Cassazione, sentenza 17736 del 18 luglio 2017) e si giustifica, con ciò, l’applicazione di una tutela più pregnante per il lavoratore, qual è quella reale (seppure in forma attenuata).

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