Contenzioso

Dirigenti dell’industria: l’indennità speciale per licenziamento economico spetta a prescindere dal motivo formale

di Pasquale Dui

L’indennità supplementare (speciale) al trattamento di fine rapporto prevista per i dirigenti del settore industria dall'accordo interconfederale del 27 aprile 1995 deve essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, al di là della motivazione formalmente adottata dal datore di lavoro. In questi termini la Corte di cassazione, con sentenza n. 86 del 4 gennaio 2019 ribadisce un principio che, distanza di 25 anni dalla fonte contrattuale, genera ancora controversie giudiziali.
Uno degli allegati al contratto collettivo nazionale per i dirigenti di aziende industriali attualmente vigente (Accordo sull'indennità supplementare in caso di risoluzione del rapporto per ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, crisi aziendale), prevede una forma speciale di indennità, determinata in misura fissa, pari all'importo del preavviso contrattualmente spettante e in aggiunta allo stesso.
L’azienda che risolva il rapporto di lavoro a tempo indeterminato motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni di crisi ivi indicate, tutte accomunate dalla circostanza di essere innestate in procedimenti di riorganizzazione e ristrutturazione comportanti radicali mutamenti dell'assetto aziendale in fattispecie giuridiche specificamente individuate con precisi riferimenti a norme di legge sulle crisi aziendali, sui licenziamenti collettivi e su situazioni ancora più strutturali che abbiano ottenuto il riconoscimento di un organo pubblico, tecnico espressamente qualificato, erogherà al dirigente un'indennità supplementare al trattamento di fine rapporto pari al corrispettivo del preavviso individuale maturato.
L’indennità supplementare è automaticamente aumentata in relazione all'età del dirigente interessato, ove questa risulti compresa in determinate fasce specificamente indicate.
L'accettazione del trattamento così come determinato comporta automaticamente la rinuncia del dirigente a ricorrere al Collegio arbitrale previsto dal contratto nazionale o al giudice per ottenere l'indennità supplementare a fronte del licenziamento ingiustificato.
In questi termini, la contrattazione collettiva ha creato un sistema di deflazione del contenzioso sul licenziamento dei dirigenti di aziende industriali, in situazioni caratterizzate da provvedimenti riguardanti generalmente più unità e soggetti, tali da configurare un licenziamento collettivo, di per sé sfornito di tutele e coperture legali, inclusa la cassa integrazione guadagni straordinaria.
In sostanza, i processi di riorganizzazione e ristrutturazione, già esistenti all'atto del licenziamento, hanno valore costitutivo del diritto del dirigente all'indennità che le parti dell'Accordo hanno condizionato all'asseverazione ministeriale, di contenuto ricognitivo della situazione fattuale; ciò si ricava anche dal tenore letterale della clausola pattizia che fa riferimento a «specifiche fattispecie di ristrutturazione, riconversione e crisi riconosciute con il decreto del Ministero del Lavoro (...) nonchè alle situazioni aziendali accertate dal Ministero del Lavoro».
L’indennità non compete quando la risoluzione del rapporto sia riconducibile alla cessazione dell'attività e non già all'ammissione dell'impresa a procedure concorsuali o alla procedura di amministrazione straordinaria, ancorché causata da una grave crisi aziendale.
Il riferimento alle situazioni specificamente previste dagli accordi sindacali speciali non deve necessariamente aver luogo con l’uso di “formule sacramentali”, ma può sussistere nel caso in cui la soppressione del posto di lavoro rappresenti «la naturale e diretta conseguenza della cessazione di ogni attività produttiva» connessa alla riconosciuta crisi aziendale.

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