Contenzioso

Antisindacale la trattenuta a tutti i lavoratori con sciopero in un festivo

di Salvatore Servidio

L'articolata vicenda oggetto dell'ordinanza 1° aprile 2019, numero 9028 della Corte di cassazione riguarda uno sciopero indetto da un'organizzazione sindacale di categoria e coincidente con la prestazione di lavoro festivo nelle giornate di Pasquetta, 25 aprile e 1° maggio.

Nello specifico, il datore di lavoro aveva provveduto a inserire tutti i lavoratori nel turno festivo, operando conseguentemente le relative trattenute senza alcuna differenziazione tra i dipendenti che avevano aderito alla prestazione di lavoro festivo (e che pertanto in caso di partecipazione allo sciopero avrebbero visto legittimamente decurtata la retribuzione) e quelli che, non prestando lavoro festivo nelle predette giornate, non avevano aderito all'astensione.

Da ciò è conseguito che anche i lavoratori che non avevano dato la loro adesione alla prestazione di lavoro festivo si erano visti operare la trattenuta stipendiale, essendo la loro assenza imputata automaticamente alla partecipazione allo sciopero.

La società ricorrente, dal canto suo, si era difesa sostenendo l'esistenza in azienda di una prassi consolidata secondo cui fosse il lavoratore, una volta venuto a conoscenza delle necessità aziendali con riferimento alle giornate di lavoro festivo, a essere onerato di comunicare la sua mancata adesione, ciò legittimando, in difetto, l'azienda a inserire ciascun lavoratore nel turno festivo e operare conseguentemente la relativa trattenuta stipendiale in caso di assenza dal lavoro coincidente in quelle giornate.

Nel giudizio instaurato, la Corte d'appello ha respinto l'appello datoriale avverso la sentenza del giudice del lavoro che, accogliendo l'opposizione proposta dalla Cgil ex articolo 28 della legge 20 maggio 1970, numero 300, aveva dichiarato l'antisindacalità della condotta tenuta dalla società, consistita nell'effettuare trattenute retributive a titolo di adesione allo sciopero nei confronti di tutti i dipendenti inseriti nel turno lavorativo dei giorni festivi.

In particolare, la Corte d'appello ha argomentato che:
- è pacifico che la trattenuta retributiva venne operata indiscriminatamente per tutti i lavoratori non presentatisi in servizio, sebbene inseriti nel turno delle giornate del 1° aprile (lunedì di Pasqua), 25 aprile e 1° maggio e che in tali giornate i lavoratori non erano obbligati, per espressa previsione contrattuale collettiva, non contestata (articolo 142 del Ccnl), a prestare attività lavorativa;
- l'unilaterale inserimento in turno per i lavoratori non tenuti obbligatoriamente a prestare servizio nelle giornate festive è di per sé condotta illegittima, perché impone al lavoratore un obbligo non previsto dal Ccnl, né da contratto individuale di lavoro e per il quale il lavoratore non ha prestato alcun previo consenso;
- l'applicazione della ritenuta stipendiale in maniera indiscriminata nei confronti di tutti i lavoratori assenti dal servizio in quelle giornate festive costituisce quindi una mera e illegittima strumentalizzazione dello sciopero da parte del datore di lavoro.
Nel conseguente ricorso per Cassazione la società denuncia, per quanto di interesse, violazione di legge, sostenendo di non avere né impedito né ostacolato l'esercizio dell'attività sindacale, limitandosi a operare una trattenuta sulla retribuzione al lavoratore assente per sciopero e che la trattenuta retributiva non può essere oggetto di procedimento ex articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, atteso che la condotta datoriale non aveva alcuna idoneità oggettiva a ledere la libertà, né la rappresentatività sindacale.

Il diritto del lavoratore alla retribuzione per lo sciopero
Si premette in argomento che il diritto di sciopero è riconosciuto dalla Costituzione (articolo 40), perché rappresenta una forma di autotutela degli interessi dei lavoratori.
Poiché lo sciopero è un diritto del lavoratore, il suo esercizio determina un inadempimento degli obblighi del contratto di lavoro. Il lavoratore, dunque, non può essere sanzionato per aver scioperato, né tantomeno licenziato.
Lo sciopero – come ha ribadito la Corte di cassazione (sentenza 16 settembre 2016, numero 18195) – non può essere considerata un'assenza giustificata al pari della malattia o dell'infortunio, ma un diritto sancito dalla Costituzione, e consiste comunque in una sospensione dell'attività lavorativa. Motivo per cui si perde la retribuzione.
Infatti, durante le giornate di sciopero si verifica una sospensione momentanea del rapporto di lavoro perché la retribuzione si basa sul principio corrispettività: di conseguenza, il dipendente perde il diritto alla retribuzione per la durata della sospensione.
Il datore di lavoro, in caso di sciopero, può dunque legittimamente effettuare una trattenuta sulla retribuzione spettante al lavoratore. La trattenuta deve corrispondere al tempo non lavorato (ad esempio, ai giorni o alle ore di sciopero).
Durante le giornate di sciopero non maturano tuttavia i ratei (ad esempio, rateo ferie, Tfr, mensilità aggiuntive, ecc.), in quanto non si tratta di un'assenza dal lavoro per motivi indipendenti dalla volontà del lavoratore.

La decisione della cassazione
Con la pronuncia 9028/2019, la sezione lavoro respinge il ricorso datoriale affermando che deve essere condannato per condotta antisindacale il datore di lavoro che applica la trattenuta a titolo di adesione allo sciopero a tutti i dipendenti risultati assenti nel turno festivo con il quale è coincisa l'astensione, dal servizio laddove in tali giornate i lavoratori non erano obbligati, per espressa previsione contrattuale collettiva, a prestare attività lavorativa e l'inserimento in turno era avvenuto per esclusiva iniziativa datoriale e non preceduto da manifestazione di consenso da parte dei lavoratori, non potendosi imporre al lavoratore l'onere di fornire la comunicazione della propria indisponibilità: ne consegue che l'applicazione della ritenuta stipendiale in maniera indiscriminata costituisce una mera e illegittima strumentalizzazione dello sciopero da parte del datore di lavoro.

Sull'argomento, sotto un profilo di ordine generale, giova innanzitutto ricordare che ai sensi dell'articolo 5 della legge 27 maggio 1949, numero 260, contenente «disposizioni in materia di ricorrenze festive», i lavoratori non sono obbligati a prestare la propria opera in occasione delle ricorrenze festive e che, ove ciò avvenga, è dovuta, oltre alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, la retribuzione per le ore effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo (Cassazione 4 marzo 2004, numero 4435; 7 agosto 2015, numero 16592). Né la norma può ritenersi comunque derogabile se non dall'accordo individuale col datore di lavoro o da accordi sindacali stipulati da organizzazioni sindacali cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato (Cassazione 8 agosto 2005, numero 16634; 4 novembre 2016, numero 22482).

Secondo, quindi, le regole generali in materia di contratti, gli accordi possono ritenersi generalmente conclusi solo ove vi sia un'espressa accettazione degli stessi (articolo 1326 del codice civile). Può, dunque, ritenersi sussistente un tacito comportamento concludente solo a fronte di una condotta attiva idonea a manifestare l'esistenza di una certa e univoca volontà, senza che il silenzio o l'inerzia possano avere da soli alcuna valenza dimostrativa.

Sulla scorta dei richiamati principi, la Suprema corte, ritenendo non sussistere alcun obbligo di legge o di contratto a prestare attività lavorativa in occasione delle ricorrenze festive e, soprattutto, ritenendo non dimostrata nel caso di specie l'esistenza della prassi invocata dalla società (tale da autorizzare l'asserzione per cui il lavoratore assente è un lavoratore scioperante), ha concluso affermando che tale comportamento datoriale «oltre a integrare un inadempimento parziale dell'obbligo retributivo», costituisse altresì un'azione di contrasto indiretta in quanto idonea a forzare, con una concreta efficacia dissuasiva, la libertà sindacale dei lavoratori nonché a ledere le prerogative del sindacato, incidendo in modo oggettivo sulla possibilità dell'organizzazione di indire (con speranza di efficace adesione) uno sciopero.

Ne segue la correttezza dell'operato del giudice di merito, di ritenere illegittimo il comportamento datoriale consistente nell'operare la ritenuta sulla retribuzione imputando l'assenza nelle giornate del 10 aprile, del 25 aprile e del 10 maggio dell'anno a sciopero, in difetto di elementi per ritenere che il lavoratore assente avesse inteso aderirvi e non invece decidere di non prestare lavoro nella festività, non essendo a ciò tenuto in mancanza di norme del contratto collettivo che gli imponessero un obbligo di prestazione in quelle determinate giornate festive, nel caso coincidenti con quelle del proclamato sciopero.
Pertanto, tale contegno datoriale, oltre a integrare un inadempimento parziale dell'obbligo retributivo, dando luogo ad una condotta antisindacale ex articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, dato che l'azione di contrasto datoriale produceva l'effetto di dissuadere i lavoratori dalla partecipazione futura ad altre iniziative di sciopero qualora tale astensione fosse coincisa con giornate festive, produceva, dall'altro, l'effetto di depotenziare indirettamente l'operato dell'organizzazione sindacale, creando un diffuso malcontento nei suoi confronti per non aver tutelato adeguatamente i diritti dei lavoratori non scioperanti.

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