Contenzioso

Esclusa l’indennità di reintegra per il lavoratore illegittimamente licenziato e andato in pensione

di Salvatore Servidio

La Corte di cassazione afferma che in caso di dichiarazione di illegittimità del licenziamento e di impossibilità sopravvenuta dell'obbligazione reintegratoria per causa estranea al datore di lavoro, è esclusa anche l'indennità sostitutiva.

La vicenda
Nella fattispecie oggetto dell'ordinanza 17 aprile 2019, numero 10721 della Corte di cassazione, un lavoratore ha chiesto accertarsi con ricorso al Pretore il suo diritto al risarcimento del danno biologico e morale conseguente alle modalità di esecuzione (condizioni stressanti) della sua prestazione lavorativa presso un istituto di credito. Successivamente lo stesso lavoratore ha impugnato il licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto e quindi ha presentato istanza di pensione.

Il tribunale ha dichiarato illegittimo il licenziamento, condannando la banca a pagare l'indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità, oltre alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino al pagamento dell'indennità sostitutiva, con condanna altresì al risarcimento del danno biologico.

Nel successivo grado del giudizio, la Corte d'appello ha dichiarato non dovuta l'indennità sostitutiva della reintegra (ritenuta impossibile per totale inabilità lavorativa), condannando la banca al pagamento dell'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto (Rgf) maturata dal licenziamento sino all'epoca del pensionamento e al risarcimento del danno biologico e morale.

Nel conseguente ricorso per Cassazione gli eredi del lavoratore denunciano, per quanto qui di interesse, violazione:
degli articoli 18 della legge 300/1970;
degli articoli 1 e 3 della legge 604/1966;
della legge 153/1969 (sulla revisione dell'ordinamento pensionistico), lamentando che il giudice del gravame avrebbe erroneamente calcolato la misura del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo e non avrebbe riconosciuto il diritto del dante causa all'indennità sostitutiva della reintegra.

Gli eredi si dolgono, in sostanza, che la sentenza impugnata ha limitato il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo all'epoca della maturazione del diritto del dante causa al pensionamento, non estendendola alla data dell'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra richiesta sin dal ricorso di primo grado.

La decisione
Nel decidere la vertenza, con orientamento nuovo, l'ordinanza 10721/2019, respinge il ricorso delle eredi e afferma che in caso di dichiarazione di illegittimità del licenziamento e di impossibilità sopravvenuta dell'obbligazione reintegratoria per causa estranea al datore di lavoro, è esclusa anche l'indennità sostitutiva. Ciò significa che in tutti i casi in cui l'obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro, non è dovuta neanche l'indennità sostitutiva.

Al riguardo occorre premettere che il licenziamento dichiarato illegittimo non estingue il rapporto lavorativo, che invece sopravvive con l'ulteriore conseguenza che su tale rapporto possono avere un definitivo effetto estintivo diverse cause sopravvenute (quali ad esempio: dimissioni, morte del lavoratore, nuovo licenziamento non tempestivamente impugnato).
Infatti, per la disciplina posta dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il licenziamento illegittimo non è idoneo a estinguere il rapporto di lavoro al momento in cui è stato intimato, determinando unicamente una sospensione della prestazione dedotta nel sinallagma a causa del rifiuto del datore di lavoro di ricevere la prestazione stessa, sino a quando, a seguito del provvedimento di reintegrazione del giudice, non venga ripristinata la situazione materiale antecedente al licenziamento stesso (si veda Cassazione 19 novembre 1987, numero 8540; 25 ottobre 1995, numero 10515; sezioni unite 27 luglio 1999, numero 508).
Solo la pronunziata legittimità del licenziamento rende privo di causa il successivo recesso per essersi il rapporto lavorativo, su cui esso dovrebbe incidere, già estinto (Cassazione 22 aprile 1976, numero 1428; 16 maggio 1994, numero 4757).

Ciò posto, nel merito delle succinte motivazioni dell'ordinanza 10721/2019, la sezione lavoro afferma a priori che il ricorso è «teoricamente fondato» in quanto la sola maturazione del diritto alla pensione e anche la sola domanda di pensione non estingue affatto il rapporto di lavoro sin quando non vi sia un atto idoneo a risolverlo. Tuttavia, aggiunge, la sentenza impugnata mostra di avere accertato che il defunto lavoratore (oltre a essere totalmente inabile) era andato effettivamente in pensione, non essendo così più possibile la reintegra né il pagamento dell'indennità sostitutiva (Cassazione 4 novembre 2000, numero 14426).

L'obbligazione del datore di lavoro all’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto, di cui all'articolo 18, comma quinto, della legge 300/1970, vigente ratione temporis, si qualifica come obbligazione con facoltà alternativa, oggetto della quale è la reintegra nel posto di lavoro, la cui attualità è presupposto necessario della facoltà di scelta del lavoratore. Con la conseguenza che in tutti i casi in cui l'obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro (articoli 1256 e seguenti del codice civile), non è dovuta neanche l'indennità sostitutiva.

In altri termini, resasi impossibile la reintegra nel posto di lavoro, il lavoratore non può pretendere l'indennità sostitutiva prevista dall’articolo 18, comma 5, dello Statuto dei lavoratori, per essersi estinta l'obbligazione gravante sul datore di lavoro. Né può ritenersi – afferma in conclusione la sezione lavoro - che nel caso specifico la sentenza di reintegra possa aver travolto, nonostante la sua natura dichiarativa con effetto ex tunc, fatti estranei al rapporto di lavoro, quale il pensionamento del dipendente. Da qui il venir meno del suo diritto.

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