Contenzioso

Reintegro con sanzione conservativa soltanto nei casi previsti dai Ccnl

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Dopo la riforma dell’articolo 18 Statuto dei lavoratori, che prevede la reintegrazione quale ipotesi residuale rispetto alla regola generale per cui in presenza di licenziamento illegittimo il lavoratore ha diritto alla mera tutela risarcitoria, il giudice può annullare il provvedimento espulsivo e disporre la ricostituzione del rapporto di lavoro nel solo caso in cui la specifica condotta inadempiente contestata sia espressamente sanzionata dal contratto collettivo nazionale con una misura conservativa.

Gli effetti dopo la legge Fornero

La Cassazione ha espresso questo principio, che si presta ad avere una portata dirimente rispetto agli approdi cui perviene la giurisprudenza di merito, con la sentenza 12365/2019, depositata ieri, nella quale è stato espresso il principio per cui la tutela reintegratoria offerta dall’articolo 18 della legge 300/1970, a seguito delle modifiche disposte dalla legge Fornero (92/2012), presuppone un abuso consapevole del potere disciplinare da parte del datore di lavoro.

È necessario, in altri termini, che il datore di lavoro sia perfettamente cosciente dell’illegittimità del licenziamento per essere la condotta inadempiente ascritta al lavoratore pacificamente ricompresa dal Ccnl o dal codice disciplinare tra quelle sanzionate con misura conservativa.

Il comma 4 dell’articolo 18 stabilisce che alla tutela reintegratoria si acceda (unicamente) in presenza di insussistenza del fatto contestato o per essere il fatto punibile con sanzione conservativa alla luce delle previsioni contrattuali collettive o del codice disciplinare. Ai sensi del successivo comma 5, in ogni altra ipotesi il lavoratore illegittimamente licenziato usufruisce di una mera indennità risarcitoria ricompresa tra 12 e 24 mensilità. Ad avviso della Cassazione, la lettura combinata di queste disposizioni riduce il reintegro ad eccezione rispetto alla regola della tutela economica. Ne consegue che l’operazione ermeneutica cui è chiamato il giudice - per verificare se l’ipotesi contestata in sede disciplinare sia punita dal contratto collettivo con una sanzione conservativa - deve essere svolta con particolare severità.

Solo se il fatto oggetto di contestazione è chiaramente ed univocamente ricompreso dal Ccnl tra le sanzioni conservative, allora alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento consegue la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione in servizio del dipendente.

Punito l’intento elusivo

Il caso sottoposto alla Corte di legittimità era relativo al licenziamento di un operaio carpentiere, sorpreso a dormire durante il turno di lavoro notturno. In primo grado, il licenziamento era stato annullato (e il lavoratore reintegrato) sul presupposto che la condotta inadempiente rientrasse nell’infrazione dell’«abbandono del posto di lavoro». La Corte d’appello di Trieste ha confermato la decisione.

La Cassazione non è dello stesso avviso e segnala che nella condotta del carpentiere era presente un intento fraudolento o elusivo, in quanto all’interruzione della prestazione lavorativa si aggiungeva la volontà di sottrarsi al controllo datoriale sull’effettiva presenta nel turno di servizio. La Corte ha dunque concluso che non vi era esatta corrispondenza tra fatto contestato e condotta punibile con sanzione conservativa, dovendosi così escludere il reintegro.

In conclusione, poiché la tutela reale costituisce eccezione alla regola che vuole il licenziamento illegittimo collegato ad un rimedio indennitario, alla reintegrazione si accede solo se il fatto contestato rientra in modo inoppugnabile tra le condotte punibili dal Ccnl con sanzione conservativa.

La sentenza n. 12365/19 della Corte di cassazione

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