Contenzioso

Rischio di reintegra se il recesso arriva prima del termine

Per le aziende soggette all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), la sanzione applicabile in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato prima dell’effettivo spirare dello stesso è stata oggetto di un dibattito giurisprudenziale.

Il dibattito è stato sedato dalla Cassazione a Sezioni unite, secondo cui è pacifico che il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o dagli usi o secondo equità, sia nullo per violazione della norma imperativa prevista dall’articolo 2110, comma 2 del Codice civile (Cassazione, Sezioni unite, sentenza 12568 del 22 maggio 2018).

La Corte ha infatti escluso che il vizio in esame possa qualificarsi come difetto di giustificato motivo. La motivazione è chiara: «privo di giustificato motivo» può essere soltanto un licenziamento che sia riconducibile a una delle cause previste dall’articolo 1 della legge 604/1966 e dall’articolo 3 della stessa legge, la cui motivazione si riveli poi non fondata. Conseguentemente, dovrebbe applicarsi a questo caso l’articolo 18, comma 7 della legge 300/1970, che richiama la sanzione del comma 4 e, quindi, la reintegrazione del lavoratore, oltre a un’indennità risarcitoria con il limite massimo di 12 mensilità (e i contributi sul relativo importo).

Diversa dovrebbe invece essere la situazione per i lavoratori soggetti alle regole del Dlgs 23/2015, che disciplina il contratto a tutele crescenti. Il decreto non ha specificamente regolamentato il licenziamento per superamento del comporto. Pertanto, con riferimento ai nuovi assunti nelle aziende con più di 15 dipendenti, l’illegittimità di questo tipo di licenziamento dovrebbe rientrare nell’ambito di quelli ingiustificati, con conseguente condanna del datore alla sola pena indennitaria da sei a 36 mensilità di retribuzione (articolo 3, comma 1 del decreto). Tuttavia, non si potrebbe escludere l’applicabilità del regime della nullità secondo l’articolo 2, comma 1, del Dlgs 23/2015, indipendentemente dal raggiungimento del requisito dimensionale da parte del datore di lavoro.

Questa lettura potrebbe indirettamente derivare dalla sentenza delle Sezioni Unite. Se infatti, come dice la Corte, il licenziamento intimato prima dello scadere del periodo di comporto, senza che il comporto sia stato realmente superato, è nullo, questa ipotesi potrebbe rientrare nell’articolo 2 del Dlgs 23/2015 che regola i casi in cui il giudice «dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio (...) ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge». L’articolo 2 del Dlgs 23/2015 è la norma che commina la sanzione più severa, ossia, quella della reintegrazione piena, con risarcimento non limitato nel massimo e versamento integrale dei contributi: analogamente a quanto disposto, in regime «Fornero», dall’articolo 18, comma 1, dello Statuto dei lavoratori.

È diverso il caso del licenziamento per giusta causa, intimato durante la malattia del lavoratore, che sia poi dichiarato illegittimo. Le sanzioni saranno quelle proprie dei licenziamenti disciplinari, in base alle regole dell’articolo 18 della legge 300/1970 o del Dlgs 23/2015.

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