Contenzioso

Il consulente del lavoro che tiene la contabilità di una società ha sempre diritto alla parcella

di Ivana Musio

La Cassazione, con ordinanza n. 13828 del 2019, ha ritenuto il professionista (nel caso di specie, un consulente del lavoro) responsabile nei confronti del cliente qualora, nell'ambito di un'operazione di cessione di ramo d'azienda, dichiari il valore dell'avviamento per la determinazione della base imponibile ai fini fiscali in misura in gran lunga inferiore alla reale capacità di profitto dell'attività produttiva.

In tal senso, la Corte di cassazione ha osservato che il professionista, incaricato di assistere il cliente in un'operazione di cessione di ramo di azienda, è tenuto ad osservare un comportamento conforme alla cosiddetta diligenza qualificata cui è vincolato per l'incarico professionale conferito ed è obbligato, pertanto, a fornire al cliente «una consulenza funzionale non solo al raggiungimento dello scopo dell'operazione, ma anche al rispetto dei doveri imposti dalla normativa fiscale».

Secondo l'orientamento della Cassazione, l'aver concordato la strategia professionale con il proprio assistito, non esonera il professionista dalla responsabilità poiché il consulente è obbligato ad avvisare il cliente sulle conseguenze che possano avere le dichiarazioni non veritiere.

È stato ribadito, pertanto, il principio secondo cui il professionista incorre in responsabilità professionale e dovrà risarcire i danni causati al cliente anche nella sola ipotesi di colpa lieve, non rilevando, in alcun modo, la circostanza che la decisione del professionista sia stata con lo stesso condivisa.

Nell'ordinanza in esame, la Corte chiarisce, inoltre, anche un altro importante principio, ovvero che il consulente del lavoro, che gestisce la contabilità di un cliente, ha sempre diritto alla parcella il cui importo può essere calcolato (in assenza di un accordo preventivo tra le parti) secondo le tariffe, o secondo gli usi o, in alternativa, equitativamente dal giudice. Ma non solo, il conferimento dell'incarico può essere provato in qualunque forma.

Ad avviso della seconda sezione civile, presupposto «essenziale ed imprescindibile dell'esistenza di un rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l'avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso». Secondo quanto affermato dai giudici di legittimità, il professionista che chiede il compenso per le sue prestazioni ha, infatti, l'onere di dimostrare la sussistenza del credito, ossia l'esecuzione delle opere, nell'adempimento dell'incarico commessogli, e l'entità delle stesse; tutti questi elementi possono, poi, essere necessari, eventualmente, per consentire al giudice anche la determinazione quantitativa dell'onorario professionale.

Quando c’è la prova sia dell'incarico, sia dell'esecuzione di tutte o alcune prestazioni professionali, si applica l'ordine preferenziale dettato dall'art. 2233 del Codice civile, in forza del quale la determinazione del compenso viene effettuata attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e, solo in mancanza di quest'ultima ed in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice in caso di impossibilità di applicare i primi criteri.

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