Contenzioso

Reintegra in caso di condotta accertata ma ritenuta lecita

La sentenza 12174/2019 arriva nel solco di un orientamento giurisprudenziale formato da pronunce che avevano già interpretato estensivamente il concetto di sussistenza del fatto. Il legislatore del Jobs act intendeva limitare drasticamente, per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, proprio le differenti interpretazioni del concetto di giusta causa, arrivando a eliminare completamente dalla valutazione giurisdizionale il canone della proporzionalità.

In questa situazione, già la sentenza 18418 del 2016 della Cassazione aveva posto il principio secondo cui l’insussistenza del fatto contestato include l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, cosicché, in questa ipotesi, si doveva applicare la tutela reintegratoria.

Un concetto analogo era stato espresso dalla decisione 13383 del 2017: l’ insussistenza del fatto contestato comprende sia l’ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, sia privo di profili di illiceità, così da comportare la tutela reintegratoria “attenuata”.

Un identico principio si trova nelle sentenze 29062 del 2017 e 30430 del 2018.

Fino alla legge 92/2012 il rimedio applicabile a tutte le ipotesi di licenziamento disciplinare invalido perché carente di giusta causa o giustificato motivo soggettivo era la reintegrazione (oltre al risarcimento del danno). La legge 92/2012 ha poi confinato la reintegrazione a due ipotesi specifiche:
il caso in cui la condotta inadempiente è punibile con sanzione conservativa secondo il contratto collettivo applicabile;
il caso dell’insussistenza del fatto contestato.

È sorto quindi un contrasto giurisprudenziale e dottrinale tra chi ha tentato di ampliare l’ambito di applicazione della reintegrazione e chi invece ha tentato di contrastare questa tendenza.

Nell’ambito di questa querelle, come si è visto, si è andato consolidando un orientamento secondo cui il concetto di insussistenza del fatto contestato doveva ricomprendere anche ipotesi di fatti effettivamente sussistenti, ma in cui il fatto - pur materialmente accaduto - non avesse rilievo disciplinare.

La sentenza della Cassazione 23669 del 2014 è invece espressione dell’orientamento opposto: il fatto da considerare è solo ed esclusivamente l’evento come accadimento storico, per cui ogni valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta esula dalla valutazione che il giudice deve compiere.

Il regime sanzionatorio introdotto dal Dlgs 23/2015 si rifà espressamente proprio a questa pronuncia della Cassazione, limitando drasticamente l’ipotesi di reintegra ai soli casi in cui il fatto in sé non sia stato compiuto, senza ulteriori considerazioni sulla proporzionalità della sanzione.

L’indirizzo di cui la decisione 12174/2019 è espressione, ha, invece, esteso la reintegrazione non solo all’ipotesi del fatto non commesso, ma anche al caso in cui il fatto sia accertato, ma sia privo di contenuto disciplinare. Questo ha evidenti conseguenze sulla chiarezza e prevedibilità delle sanzioni applicabili.

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