Contenzioso

Reintegra flessibile solo in casi limitati

di Daniele Colombo

Essere reintegrato nel posto di lavoro oppure optare per una indennità di 15 mesi di retribuzione, esente dal versamento dei contributi. Sono le due chances del lavoratore licenziato, dopo la pronuncia di illegittimità del licenziamento da parte del giudice, che disponga la reintegra. Questo vale sia per gli assunti fino al 7 marzo 2015, sia per i lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti (nei pochi casi di reintegra previsti dal Dlgs 23/2015).

La facoltà del lavoratore di optare per l’indennità di quindici mensilità al posto della reintegra spetta anche dopo la pronuncia dell’ordinanza di chiusura che conclude il processo sommario del rito «Fornero», previsto dalla legge 92/2012 (per gli assunti prima del 7 marzo 2015), come ha stabilito la Cassazione nella sentenza 16024 del 18 giugno 2018.

Come chiarito dalla Corte, non c’è ragione per ritenere che la facoltà prevista dall’articolo 18, comma 3 della legge 300/1970, non possa estendersi anche alla stessa condanna contenuta nell’ordinanza «Fornero». Infatti, sebbene l’articolo 18 comma 3 della legge 300/1970 leghi l’opzione alla pronuncia di una sentenza (non di un’ordinanza provvisoria come quella che viene all’esito della prima fase del processo «Fornero»), il contenuto della pronuncia giudiziale dell’ordinanza Fornero è del tutto sovrapponibile a quello reso con sentenza come esito del processo di cognizione ordinaria. L’ordinanza emessa alla fine della fase sommaria, infatti, è a tutti gli effetti dotata di efficacia esecutiva e non può essere modificata o revocata se non con la sentenza resa all’esito della fase di opposizione. Inoltre, se non impugnata nel termine di decadenza, l’ordinanza diviene «irretrattabile fisiologicamente». Non è di ostacolo neanche il tenore letterale della norma tenuto conto che, già in altre occasioni, la Cassazione ha esteso la facoltà di opzione anche alla reintegra emessa nell’ambito di un procedimento di urgenza (Cassazione, sezione lavoro, sentenza 2350 del 2010).

Le conseguenze della reintegra

Ma che cosa si intende per reintegrazione? La risposta non è senza importanza, anche alla luce della circostanza che la reintegra (pur se in casi molto limitati) è prevista anche nel contratto a tutele crescenti (articolo 2 e articolo 3, comma 2 del Dlgs 23/2015).

Con l’ordine di reintegrazione il giudice, accertata l’illegittimità del recesso datoriale, ripristina il rapporto di lavoro ordinando al datore di ricollocare il dipendente nel posto di lavoro precedentemente occupato, ossia nello stesso luogo e nella stessa posizione che occupava prima del licenziamento (si veda anche Cassazione sentenza 800 del 13 gennaio 2017). Il lavoratore potrà essere reintegrato in un altro luogo e in una posizione diversa da quella precedentemente ricoperta, solo se l’azienda dimostra l’impossibilità oggettiva di ricollocarlo nel posto precedentemente occupato (ad esempio per chiusura dell’unità produttiva o cessazione del reparto al quale era addetto il lavoratore).

Impossibile l’esecuzione forzata

L’ordine di reintegrazione può essere oggetto di esecuzione forzata?

All’immediata esecutività della sentenza (o ordinanza) non corrisponde la possibilità di eseguire in forma specifica l’ordine con il quale la reintegrazione è disposta . Secondo il costante orientamento dalla Cassazione, la reintegra nel posto di lavoro implica necessariamente un comportamento insostituibile con altri (un «fare infungibile») di carattere organizzativo-funzionale da parte del datore di lavoro, che deve impartire le opportune direttive al lavoratore (si veda Cassazione, sentenza 23493 del 2010). Questa condotta aziendale non può essere attuata da terzi, ivi compreso il giudice; ciò, infatti, si porrebbe in contrasto con il principio sancito dall’articolo 41 della Costituzione sulla libertà di impresa.

Pertanto, se l’esecuzione forzata relativa a sentenze di condanna che hanno per oggetto il pagamento di una somma di denaro è assolutamente coercibile, è stata, invece, esclusa l’applicabilità delle norme previste dagli articoli 612 e seguenti del Codice di procedura civile per eseguire direttamente e coattivamente l’obbligo di reimmettere il lavoratore nel posto di lavoro.

Allo stesso modo, non sono applicabili le forme di coazione indiretta previste dall’articolo 614-bis del Codice di procedura civile. Quest’ultima norma consente al giudice che pronunci sentenza di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro di determinare , su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, così come pure per il ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Questa norma, tuttavia, per espressa disposizione di legge, non si applica alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa citati dall’articolo 409 del Codice di procedura civile.

Le conseguenze

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