Contenzioso

È legittimo il patto di non concorrenza soggetto a diritto d’opzione

di Umberto Orso Giacone e Umberto Durelli

Con la sentenza del 2 settembre la Corte d’Appello di Milano, confermando quanto deciso dal giudice di primo grado, ha ritenuto legittimo l’assoggettamento di un patto di non concorrenza ex art. 2125 cod. civ. al diritto di opzione ex articolo 1331 del Codice civile.

L’analisi della Corte muove dalla richiesta di un dipendente che, dopo aver rassegnato le dimissioni, ha fatto ricorso al tribunale di primo grado per ottenere il riconoscimento del corrispettivo relativo al patto di non concorrenza, operante - secondo la tesi del dipendente - fin dalla instaurazione del rapporto di lavoro, a nulla rilevando il fatto che il patto ex art. 2125 cod. civ. fosse assoggettato a opzione in favore della società e che tale opzione non fosse mai stata esercitata dal datore di lavoro.

Il ricorrente ha infatti sostenuto, sia dinnanzi al Tribunale sia dinnanzi alla Corte d'Appello, che il patto di non concorrenza in esame avrebbe dovuto ritenersi validamente concluso fin dalla stipulazione del contratto di assunzione cui era annesso, e che il diritto d'opzione concesso dal dipendente alla società avrebbe dovuto dunque ritenersi nullo in quanto comportante una "illegittima compressione della propria libertà".

Occorre premettere che la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, è sempre stata molto attenta ad evidenziare la differenza intercorrente tra l'istituto del recesso dal patto di non concorrenza già operante e il diritto di opzione ex art. 1331 cod. civ., in virtù del quale il contratto cui è annesso viene ad esistere.

La recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. lav., n. 3/2018 ha infatti in ultimo chiarito che il recesso è del tutto incompatibile con l'istituto del patto di non concorrenza, indipendentemente da quando questo viene esercitato, atteso che "il patto di non concorrenza comporta fin dalla sua stipulazione un obbligo di non fare per il lavoratore che è efficace durante l'esecuzione del rapporto di lavoro, consistente nel non poter accettare offerte di lavoro da parte di società in concorrenza con il datore di lavoro, limitando pertanto la libertà del dipendente".

Con la sentenza qui in commento, la Corte d'Appello di Milano, rimarcando le differenze strutturali tra il diritto di opzione e il diritto di recesso ed aderendo ai precedenti della Corte di Cassazione sovrapponibili al caso di specie (Corte di Cassazione, sez. lav., n. 17542/2017 e Corte di Cassazione, sez. lav., n. 13352/2014) ha ritenuto validamente assoggettato il patto di non concorrenza ad un diritto di opzione. È stato pertanto precisato che "l'opzione determina la nascita di un diritto a favore dell'opzionario che conclude automaticamente il contratto soltanto nel caso in cui venga esercitata. Si tratta, quindi, di un diritto potestativo, poiché ad esso corrisponde, dal lato passivo, una posizione di soggezione, dato che, ad esclusiva iniziativa dell'opzionario, il concedente può subire la conclusione del contratto finale. Lo schema di perfezionamento non è quello della proposta-accettazione, ma quello del contratto preparatorio di opzione, seguito dall'esercizio del suddetto diritto, mediante una dichiarazione unilaterale recettizia entro un termine fissato nel contratto stesso o, in mancanza, dal giudice. E, dunque, scaduto tale termine, l'opzione viene meno, trattandosi di un termine di efficacia di un contratto e non di irrevocabilità della proposta".

È noto infatti come, ex art. 1331 1° comma cod. civ., "quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall'articolo 1329".

A tal proposito la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che il contratto di opzione, che rende irrevocabile la proposta di ulteriore contratto, è già concluso e non può essere modificato se non con l'accordo di entrambe le Parti, mentre il contratto-scopo si concluderà solo se e quando la proposta del concedente sarà accettata dall'opzionario. "È indiscusso, infatti, che l'opzione dà luogo ad una proposta irrevocabile cui corrisponde una facoltà di accettazione, e non ad un contratto perfetto condizionato; in conseguenza il negozio, che sorge da un rapporto originariamente in fieri, si perfeziona nello stesso momento in cui la parte manifesta la sua volontà di esercitare il suo diritto di opzione, e non può spiegare i suoi effetti se non da tale momento" (Corte di Cassazione Sez. I, n. 23022/2006; Corte di Cassazione Sez. II, n. 2017/1998).
Ne deriva, pertanto, che l'istituto dell'opzione di cui all'art. 1331 cod. civ. si colloca nell'ambito di una più complessa fattispecie contrattuale a formazione progressiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto la irrevocabilità della proposta del promittente, e, successivamente, dalla (eventuale) accettazione del promissario che, saldandosi con la precedente proposta, perfeziona il nuovo negozio giuridico.

Alla luce di quanto sopra la Corte ha rigettato l'appello del dipendente avverso la sentenza di primo grado, non ravvisando profili di violazione della legge inerenti il patto di opzione per cui è causa.

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