Contenzioso

Effetti contributivi dell’erroneo inquadramento aziendale

di Silvano Imbriaci

La Corte di cassazione interviene sugli effetti sull'obbligo contributivo delle variazioni di un inquadramento aziendale erroneamente disposto, ma da una visuale poco frequentata, ossia nel caso in cui l'erroneità dell'inquadramento sia in qualche modo addebitabile non al datore di lavoro ma all'ente previdenziale.

In via generale, la disciplina che descrive effetti e modalità della variazione dell'inquadramento, introdotta dall'articolo 3, comma 8, della legge 335/1995 (con l'indicazione della decorrenza degli effetti) ha lo scopo di non imporre ai datori di lavoro le conseguenze, sul piano contributivo, di eventuali ritardi imputabili all'Ente nell'assicurare la corrispondenza della classificazione adottata con l'attività effettivamente esercitata dall'azienda.

Se l'erroneità dell'inquadramento è dipesa da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro, l'ordinamento non dovrebbe preoccuparsi di limitare la retroattività dell'inquadramento esatto. Ma cosa succede quando sia necessario regolarizzare una posizione contributiva, nel caso in cui sia l'ente stesso ad essere in qualche modo responsabile dell'erroneo inquadramento?

Di questo tema si occupa l'ordinanza 10 settembre 2019, numero 22556 della prima sezione civile della Cassazione, che affronta due diverse questioni derivanti dalla riconosciuta responsabilità dell'ente nell'erroneo inquadramento.
In un caso si tratta di vedere in che modo si atteggia la corrispondente obbligazione sanzionatoria per l'omesso versamento di contribuzione in misura piena dovuto al differente inquadramento disposto dall'Inps nel settore commercio anziché in quello industriale.

L'inquadramento stabilito in sede giudiziaria aveva imposto la regolarizzazione contributiva e l'istituto di previdenza aveva chiesto anche le corrispondenti sanzioni civili. Secondo la giurisprudenza della Corte in questo caso si ha una deroga al principio generale della ricorrenza automatica, in presenza di inadempimento contributivo, della corrispondente obbligazione a titolo di sanzioni.

In virtù di tale principio, l'elemento soggettivo che ha determinato l'inadempimento riveste carattere marginale, e si valuta solo per stabilire l'applicazione della disciplina più rigorosa (evasione) piuttosto che l'aliquota prevista per l'omissione. Ebbene, tale principio, secondo la Cassazione, non si applica tutte le volte in cui il danno subito dall'ente previdenziale sia imputabile allo stesso ente, come accade quando sia stato disposto un erroneo inquadramento con determinazione disposta d'ufficio; oppure nell'ipotesi in cui vi siano oggettive incertezze sulla ricorrenza dell'obbligo contributivo, connesse ad una incontroversa rappresentazione determinata da un erroneo inquadramento da parte dello stesso ente previdenziale (cfr. Cass. n. 16093/2014).

Il fatto che l'Inps abbia deliberatamente e pervicacemente insistito nella difesa del proprio provvedimento di inquadramento nel settore commercio, fino al passaggio in giudicato della sentenza che invece stabilisce l'inquadramento nel settore industria, con diversa aliquota contributiva, rende illegittima la richiesta da parte dell'Istituto di somme aggiuntive rispetto a quanto dovuto a titolo di regolarizzazione contributiva, per effetto dell'oggettivo inadempimento contributivo alle scadenze di legge.

Allo stesso modo, l'erroneo inquadramento può avere conseguenze dirette sul recupero di prestazioni che, per effetto del diverso inquadramento, non sono più dovute (ad esempio, indennità di malattia a categorie di dipendenti). In questo caso, se l'indebito versamento delle indennità – di malattia in particolare - è dipeso dall'erroneo inquadramento, è l'ente, quale obbligato sostanziale, a dover sopportare le conseguenze dell'impossibilità di recupero delle prestazioni ormai erogate. Infatti l'articolo 1 del Dl 30 dicembre 1979, n. 663 convertito con modificazioni dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, afferma chiaramente che le prestazioni di malattia indebitamente erogate al lavoratore e poste a conguaglio sono recuperate dal datore di lavoro e restituite all'ente.

Ma qualora il datore di lavoro non possa recuperare le somme stesse, perché impossibile, sarà l'ente a provvedere al recupero diretto, accollandosi il relativo onere e rischio. Dovranno quindi essere restituite al datore di lavoro le somme corrisposte all'Inps a titolo di indennità di malattia, in quanto il datore di lavoro deve comunque essere tenuto indenne dalle conseguenze negative di ogni tipo derivanti dall'erroneo inquadramento a causa di un errore imputabile all'Istituto stesso.

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