Contenzioso

Il lavoratore non deve restituire la disoccupazione se rifiuta la reintegra e si accorda per un risarcimento

di Silvano Imbriaci

La causa del trattamento di disoccupazione è costituita dall'atto risolutivo del rapporto di lavoro, per cui se non c’è reintegra effettiva a seguito di un contenzioso, non è indebita la percezione del trattamento stesso.

Con questa pronuncia (28295 del 4 novembre 2019) la Corte di cassazione affronta la questione della sorte del trattamento di disoccupazione versato a favore di un lavoratore quando, successivamente alla cessazione del rapporto (con conseguente stato di disoccupazione), in via giudiziale sia stata riconosciuta la nullità dell'apposizione del termine, con contestuale conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e comunque il rapporto di lavoro sia stato risolto consensualmente con transazione intervenuta in via giudiziale con il datore di lavoro.

In tale situazione, in via di principio, si scontrano l'interesse dell'Inps a vedersi restituito il trattamento di disoccupazione una volta accertato giudizialmente il venir meno del presupposto della cessazione del rapporto, a seguito della regolarizzazione contributiva, e l'interesse del lavoratore a vedersi riconosciuto comunque il trattamento, essendo questo andato a coprire una situazione di bisogno (lo stato di disoccupazione), in quel momento effettiva, anche se poi, nei fatti, la controversia tra lavoratore e datore di lavoro si è chiusa con il riconoscimento in via transattiva delle pretese del lavoratore (regolarizzazione contributiva e pagamento di una somma a titolo di definizione della controversia).

Proprio la regolarizzazione contributiva ha indotto l'Inps a richiedere la restituzione del trattamento di disoccupazione che era stato attribuito al lavoratore dopo la conclusione del rapporto di lavoro per scadenza del contratto a termine e dopo che il contenzioso giudiziale aveva stabilito in prima battuta la nullità dell'apposizione del termine e la conversione a tempo indeterminato del rapporto.

Solo per evitare le conseguenze della lite, il datore di lavoro aveva provveduto al pagamento della contribuzione per tutto il periodo e alla corresponsione di una somma a titolo definitivo.

Secondo la Cassazione, l'assicurazione per la disoccupazione ha lo scopo specifico (fin dalla sua creazione, in base all’articolo 45 del Rdl 1827/1935) di fornire ai disoccupati un sostegno al reddito, quando la causa dello stato di disoccupazione sia involontaria. Sicuramente integra gli estremi della disoccupazione involontaria la scadenza del termine contrattuale in cui la cessazione del rapporto non derivi da iniziativa del lavoratore.

Secondo la giurisprudenza, su questo presupposto non ha alcun rilievo la contestazione della legittimità dell'atto con cui il rapporto di lavoro è cessato (ad esempio, licenziamento) in quanto l'elemento che serve a rendere effettivamente indebita l'indennità di disoccupazione è rappresentato dalla reintegrazione nel posto di lavoro, con la piena regolarizzazione degli aspetti retributivi e contributivi (Cassazione 9418/2007).

La Suprema corte valuta la questione allo stesso modo: la cessazione del contratto di lavoro per scadenza del termine determina uno stato di disoccupazione anche se successivamente, in fase contenziosa, sia dichiarata la nullità dell'apposizione del termine e la conversione del rapporto. E anche se la controversia giudiziale si chiude con una transazione che riconosce l'erogazione di una somma a titolo di danno non patrimoniale e la regolarizzazione contributiva. Lo stato di disoccupazione deve quindi essere valutato alla stregua e al momento dell'atto risolutivo. Non rileva il fatto che il lavoratore, pur contestando la legittimità della cessazione del rapporto, non abbia portato a esecuzione una sentenza in primo grado favorevole.

Non basta allora la statuizione giudiziale circa la ricostituzione del rapporto, poiché l'unico elemento che può rendere effettivamente indebita l'erogazione del trattamento di disoccupazione è l'effettiva attuazione della reintegra, poiché tale elemento costituisce una modifica del fatto generatore dello stato di disoccupazione.

La Cassazione sul punto tiene a sottolineare che la necessità di una tutela forte dello stato di disoccupazione supera anche l'esistenza di una declaratoria di invalidità della cessazione del rapporto. Storicamente, su questo punto, a dire il vero (lo riconosce la stessa sentenza) la Cassazione aveva mostrato qualche dubbio (sentenza 9418/2007), ritenendo che a fronte dell'ordine di reintegra a seguito di invalidità del licenziamento, l'inerzia del lavoratore nel porre in esecuzione tale provvedimento avrebbe dovuto comportare la perdita del trattamento di disoccupazione.

Tuttavia, secondo la sentenza del 2019 non è così. L'inerzia del lavoratore non costituisce infatti un presupposto per la revoca del trattamento. In nessun posto sta scritto che il lavoratore per non perdere l'indennità debba portare a esecuzione una sentenza favorevole in punto di qualificazione del rapporto. Il fatto genetico della prestazione assistenziale si è infatti già verificato e nessuna di queste situazioni solo teoriche riesce a modificarlo, se non l'effettiva reintegra/ricostituzione del rapporto, con pagamento delle retribuzioni e regolarizzazione contributiva.

Anche se è intervenuta la transazione, vale la circostanza in fatto per cui non si è prodotta l'effettiva ricostituzione del rapporto, unico elemento che da solo può privare di fondamento l'attribuzione del trattamento di disoccupazione.

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