Contenzioso

Un Ccnl non può vietare il lavoro intermittente

di Angelo Zambelli

Secondo la Cassazione (sentenza 29423/2019), un contratto collettivo non può vietare l’utilizzo del lavoro intermittente. La vicenda trae origine dalla domanda di un dipendente volta all’accertamento dell’illegittimità del contratto di lavoro intermittente che intercorreva con l’azienda, sul presupposto che il Ccnl applicato escludesse espressamente l’utilizzo di tale tipologia contrattuale.

I giudici hanno precisato che l’articolo 34, comma 1, del Dlgs 276/2003 (abrogato dal Dlgs 81/2015) si limitava a demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione delle «esigenze» per le quali è consentita la stipulazione del contratto intermittente, senza tuttavia attribuire alle parti sociali alcun potere di interdizione all’utilizzo di tale tipologia contrattuale.

Il rinvio alla contrattazione collettiva contenuto nell’articolo 34 (oggi collocato nell’articolo 13 del Dlgs 81/2015, disciplinante il contratto intermittente) trova, infatti, il proprio fondamento nella considerazione che «le parti sociali, per prossimità allo specifico settore oggetto di regolazione, sono i soggetti maggiormente in grado di individuare le situazioni che giustificano il ricorso a tale particolare tipologia di lavoro».

Nel caso specifico, in assenza dell’intervento delle parti sociali, il contratto è stato stipulato in base alle esigenze individuate dal decreto 459/2004 del ministero del Lavoro.

La Cassazione ha evidenziato come il potere di intervento sostitutivo del ministero (in caso di comportamento inerte o contrario delle parti sociali) denoti in termini inequivoci «la volontà del legislatore di garantire l’operatività» dell’istituto contrattuale e ciò in coerenza con il complessivo impianto della legge delega 30/2003 e con la dichiarata finalità di disciplinare e razionalizzare le tipologie contrattuali, quali il lavoro a chiamata, temporaneo, occasionale, accessorio.

A ulteriore conferma del limitato potere attribuito alla contrattazione collettiva, la Suprema corte richiama il terzo comma dell’articolo 34 (sovrapponibile all’attuale articolo 14 del Dlgs 81/2015) che, individuando le ipotesi di divieto al ricorso al lavoro intermittente, non contemplava l’inerzia o il veto delle parti collettive.

Ne discende che il potere attribuito alle parti sociali dalla disciplina normativa del contratto intermittente debba intendersi limitato alla mera individuazione delle esigenze che ne consentono l’utilizzo e non alla decisione circa l’utilizzabilità tout court di tale tipologia contrattuale.

Come dire, nessun potere di veto o forma di ostracismo è stata consentita dal legislatore alle parti sociali per tale speciale tipo contrattuale.

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