Contenzioso

Colf in nero, la Cassazione apre alle riprese in casa del datore

di Angelina Turco

Via libera della Cassazione alle riprese fotografiche effettuate dalla colf in casa del datore di lavoro, ma a determinate condizioni.

A monte della decisione vi è il caso di una collaboratrice domestica, condannata dal Tribunale, con sentenza poi confermata dalla Corte di appello, alla pena di quattro mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno, per il reato di cui all'articolo 615 bis del Codice penale, per aver effettuato riprese fotografiche all'interno dell'abitazione presso la quale prestava la propria attività, prodotte in sede giudiziale per dimostrare il rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti.

L'imputata ha proposto ricorso per Cassazione contestando principalmente la forzatura, da parte dei giudici di merito, del concetto di vita privata di cui all'art. 615 bis c.p. che punisce chi, con strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura notizie o immagini relative alla vita privata che si svolge nei luoghi indicati dall'articolo 614 c.p.

La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con sentenza del 13 novembre 2019, n. 46158, fa subito chiarezza, delineando il parametro di applicazione della fattispecie criminosa prevista dall'articolo 615 bis del Codice penale, e chiarendo che il riferimento ai luoghi indicati nell'articolo 614 del Codice penale, relativo al reato di violazione di domicilio, è puramente indicativo di un richiamo a quei luoghi, senza che la disciplina di tale reato possa essere recepita nella disposizione dell'articolo 645 bis sopra richiamata. Il riferimento contenuto nell'articolo 615 bis ai luoghi indicati nell'articolo 614 ha quindi l'esclusiva funzione di delimitare gli ambienti nei quali l'interferenza nella altrui vita privata assume rilevanza penale, ma non anche quella di recepire il regime giuridico della violazione di domicilio.

La giurisprudenza di legittimità più recente, richiamata dalla sentenza in commento, fissa i paletti della configurazione del reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'articolo 615 bis del Codice penale:
-non integra tale reato la condotta di colui che in un'abitazione in cui sia lecitamente presente filma scene di vita privata anche senza il consenso di chi venga ripreso; al contrario è interferenza illecita quella realizzata dal terzo estraneo al domicilio che ne violi l'intimità (Cass. 27160/2018);
-il reato non è configurabile allorché l'autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l'atto della vita privata oggetto di captazione; è al contrario illecita la condotta di colui che carpisca immagini attinenti alla vita privata di altri soggetti che si trovino nella privata dimora, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe (Cass. 36109/2018).

In sintesi, la giurisprudenza delinea, in modo chiaro e netto, la riferibilità dell'autore del reato a un soggetto che carpisca immagini relativi a luoghi di privata dimora in cui il medesimo non sia ammesso, realizzando così un atto di interferenza nell'ambito privato altrui. Ulteriore presupposto di tale reato è poi costituito, da un lato, dalla compartecipazione dell'autore delle riprese all'evento e dal disvalore obiettivo delle immagini, riprese da un soggetto, lecitamente inserito nei luoghi di privata dimora.

Per la Corte di cassazione, nella fattispecie in esame, sono evidenti sia la legittima presenza della collaboratrice domestica nei luogo di privata dimora, sia la mancanza di un disvalore obbiettivo, non essendo state riprese scene della vita privata, ma solo gli ambienti e i loro arredi. Di conseguenza, la sentenza in commento accoglie il ricorso della Colf e cassa la sentenza della Corte di appello perché il fatto non sussiste.

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