Contenzioso

L’orario rigido discrimina i genitori

di Luigi Caiazza

Introdurre regole sul rispetto dell'orario di lavoro, più rigide rispetto al contratto collettivo nazionale senza peraltro fornirne le motivazioni, costituisce discriminazione indiretta nei confronti dei dipendenti che sono anche genitori. Così ha deciso il tribunale di Firenze in una vertenza promossa dalla consigliera regionale di parità nei confronti dell'Ispettorato del lavoro del capoluogo toscano.

Con due ordini di servizio l'Itl ha ridotto la flessibilità in entrata, regolato diversamente dalle disposizioni nazionali l'utilizzo della banca delle ore. Il giudice non ha mancato di accertare che tali ordini avrebbero potuto determinare, nel loro complesso, una potenziale discriminazione indiretta in danno dei genitori lavoratori (soggetti portatori del fattore di rischio costituito dalla maternità o paternità) e, in particolare, delle lavoratrici madri (soggetti che cumulano fattore di rischio del sesso femminile con il fattore di rischio costituito dalla maternità) senza che il datore di lavoro pubblico avesse comprovato la sussistenza di una finalità legittima perseguita con mezzi appropriati e necessari.

Infatti i provvedimenti hanno analiticamente disciplinato, per tutto il personale, l'orario di inizio della giornata lavorativa, prevedendo le varie casistiche delle entrate oltre le canoniche ore 8,00, e fino alle ore 9,30, nonché le modalità di recupero, individuando, altresì, ipotesi decurtazione della retribuzione fino a giungere a provvedimenti disciplinari (secondo le ipotesi degli articoli 62 e seguenti del Codice disciplinare dell'amministrazione).

Al contempo nulla hanno previsto in ordine alla flessibilità “ulteriore” in favore dei dipendenti che si trovino in particolari situazioni personali, sociali e familiari, ovvero necessità connesse alla frequenza dei propri figli di asili nido, scuole materne e primarie, espressamente ipotizzate dall'articolo 26, comma 4, del Ccnl per il personale comparto funzioni centrali.

Il giudice, con una articolata sentenza-ordinanza si è riportato non solo alle leggi nazionali, ma anche alla giurisprudenza comunitaria che, a sua volta, è stata sempre chiara e coerente nel sancire la particolare tutela che spetta alle lavoratrici e ai padri lavoratori e ne ha concluso che gli ordini di servizio determinano una discriminazione indiretta.

Quest'ultima è tale in quanto essa risiede, non nel trattamento che è indistinto per i destinatari, ma negli effetti che costituiscono la sua conseguenza sul piano oggettivo. Essa è da ritenersi pertanto quale condotta non soggettiva che viene valutata per gli effetti lesivi nei confronti del lavoratore che appartiene a categorie tipizzate sulla base di un fattore di protezione.

Da qui l'ordine all'Ispettorato in questione dalla cessazione del comportamento pregiudizievole, tramite la rimozione delle discriminazioni accennate, provvedendo altresì a liquidare, in via provvisoria, alla consigliera ricorrente, a titolo risarcitorio del danno non patrimoniale, la somma di 2 mila euro, oltre accessori per legge.

Sentenza del tribunale di Firenze

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©