Contenzioso

Rassegna di Cassazione

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Subappalto e responsabilità solidale del committente per omissione contributiva
Parasubordinazione e diritto al corrispettivo
Contratto di lavoro a progetto fra autonomia e subordinazione
Infortunio sul lavoro e responsabilità datoriale
Trasferimento d'azienda e cessione di sola manodopera

Subappalto e responsabilità solidale del committente per omissione contributiva

Cass. Sez. Lav. 25 ottobre 2019, n. 27382

Pres. Manna; Rel. D'Antonio; P.M. Celeste; Ric. P.I.P. S.r.l.; Controric. INPS;

Appalto – Omesso versamento dei contributi previdenziali da parte di subappaltatori – Responsabilità solidale del committente – Divieto di subappalto – Irrilevanza – Omesso controllo da parte del committente – Rilevanza.

La peculiarità dell'obbligazione contributiva rispetto a quella retributiva comporta che il committente sia solidalmente responsabile per i contributi previdenziali non versati da un subappaltatore anche nel caso in cui nel contratto di appalto sia pattuito il divieto di subappalto e ciò, a maggior ragione, ove il committente non abbia adeguatamente controllato che il personale adibito all'esecuzione dell'appalto fosse dipendente dall'appaltatore.
NOTA
Una azienda stipulava un contratto di appalto con una società consortile che affidava l'esecuzione dei lavori, da eseguirsi presso la committente, ad una propria consorziata. Quest'ultima, a sua volta, subappaltava i lavori ad una cooperativa e ciò, nonostante il contratto vietasse espressamente il subappalto, subordinando anche la cessione al preventivo consenso della committente che, nel caso di specie, non era mai stato prestato.
L'INPS otteneva dal Tribunale di Novara un decreto ingiuntivo contro la committente avente ad oggetto il pagamento dei contributi previdenziali, relativi ai dipendenti impiegati nell'appalto, non versati dal subappaltatore.
La committente proponeva opposizione avverso tale decreto ingiuntivo che veniva accolta dal Tribunale in ragione del divieto di subappalto e della conseguente esclusione della responsabilità solidale della committente nei confronti del subappaltatore, quale soggetto terzo, del tutto estraneo all'azienda committente.
La Corte d'Appello di Torino, in accoglimento dell'impugnazione promossa dall'INPS, riformava la sentenza di primo grado, affermando, da un lato, la natura oggettiva della responsabilità solidale conseguente al mero fatto di aver stipulato il contratto di appalto e, dall'altro, che la committente aveva omesso di controllare che il personale impiegato nell'appalto non risultasse assunto dall'appaltatore, né dalla consorziata alla quale erano stati affidati i lavori, bensì da un terzo.
Avverso tale decisione la committente ricorreva in cassazione; l'INPS resisteva con controricorso.
Il ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione dell'art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003 laddove i giudici di appello hanno affermato la natura oggettiva della responsabilità solidale, nonostante la committente non avesse alcun rapporto con il subappaltatore che si era reso responsabile dell'omissione contributiva.
La Suprema Corte ha anzitutto chiarito che la norma in parola prevede un'obbligazione di garanzia, finalizzata a rafforzare l'adempimento delle obbligazioni retributive e previdenziali, ponendo a carico dell'imprenditore che impiega lavoratori dipendenti da terzi, il rischio economico di dover rispondere in prima persona delle eventuali omissioni dell'appaltatore. L'intento del legislatore è quindi quello di indurre i committenti a selezionare gli imprenditori più affidabili con i quali stipulare contratti di appalto, per evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori.
Ciò posto, la Corte ha poi richiamato il pacifico principio di diritto (affermato, tra le altre, da Cass. 8662/2019 e Cass. 13650/2019) secondo cui l'obbligazione contributiva, derivante dalla legge e che fa capo all'INPS, seppur connessa a quella retributiva, rimane distinta ed autonoma rispetto a quest'ultima. Inoltre, l'obbligazione contributiva è, per sua natura, indisponibile.
Sulla base di tali premesse la Corte ha affermato che la peculiarità dell'obbligazione contributiva induce a ritenere non coerente con le sue caratteristiche, in assenza di qualsiasi plausibile ragione, l'esonero della responsabilità del committente a fronte della violazione del divieto di subappalto. E ciò, a maggior ragione, ove venga accertato che il committente non abbia adeguatamente controllato il personale addetto all'appalto. È stata così avallata la decisione di secondo grado anche nella parte in cui ha valutato che la committente, avendo la disponibilità degli elenchi dei lavoratori adibiti all'esecuzione dell'appalto nonché dei cartellini presenze, ben avrebbe potuto e dovuto controllare che si trattasse effettivamente di dipendenti delle società consorziate anziché di un terzo subappaltatore.

Parasubordinazione e diritto al corrispettivo

Cass. Sez. Lav. 30 ottobre 2019, n. 27910

Pres. Patti; Rel. Amendola; Ric M.G.; Controric. C.A.S. S.c.p.A.;

Lavoro autonomo - Parasubordinazione - Diritto al corrispettivo - Onere della prova - Fattispecie.

Chi chiede il compenso di prestazioni eseguite nell'ambito di un rapporto di c.d. parasubordinazione (art. 409, n. 3 c.p.c.) non può limitarsi a provare l'esistenza del rapporto, ma deve provare le singole prestazioni che del diritto al corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi.
NOTA
Il caso di specie riguarda una richiesta di compensi avanzata da un lavoratore per un'attività prestata in regime di parasubordinazione nel periodo da gennaio 2006 ad aprile 2008.
Tale richiesta veniva rigettata dalla Corte d'Appello di Caltanissetta che, in riforma della pronuncia di primo grado, riteneva che il lavoratore non avesse fornito nessuna prova - né chiesto di provare - l'effettivo svolgimento delle prestazioni che gli avrebbero dato diritto ai compensi richiesti.
Il lavoratore impugnava la sentenza di secondo grado nella parte in cui escludeva, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, l'applicazione anche al rapporto di parasubordinazione del principio di sufficienza dell'allegazione del titolo contrattuale e di deduzione dell'inadempimento di controparte, con onere di questa di provarne l'inesistenza.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, richiamando invece il principio secondo cui «chi chiede il compenso di prestazioni eseguite nell'ambito di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione (art. 409 n. 3 c.p.c.) non può limitarsi a provare l'esistenza del rapporto, ma deve provare le singole prestazioni che del diritto al corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi» (cfr. Cass. n. 12681/2003 e più di recente Cass. n. 10286/2016).
La Corte ha rilevato altresì che la prova che le singole prestazioni siano state eseguite o meno costituisce una quaestio facti di competenza del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità, tanto più nel caso di specie, avendo la Corte di merito anche argomentato le ragioni per cui aveva ritenuto che il lavoratore non avesse fornito alcuna prova in merito all'adempimento delle attività a lui assegnate.
Per tali motivi, come anticipato, la Corte ha concluso per il rigetto del ricorso.

Contratto di lavoro a progetto fra autonomia e subordinazione

Cass. Sez. Lav. 29 ottobre 2019, n. 27725

Pres. Berrino; Rel. Arienzo; P.M. Sanlorenzo; Ric. H.R.C. S.p.a.; Controric. R.P.

Contratto di lavoro a progetto – Autonomia/Subordinazione – Criteri distintivi – Assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare – Rilevanza - Sussiste
Anche nel caso del contratto di lavoro a progetto, ai fini della distinzione fra lavoro subordinato e autonomo deve attribuirsi prevalente rilevanza al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende, oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative, anche dall'emanazione di ordini specifici.
NOTA
La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, a fronte della formale instaurazione tra le parti nel periodo oggetto di causa di quattro contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, accertava l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, e condannava la società datrice all'immediata riammissione in servizio del lavoratore ed al pagamento, in suo favore, delle retribuzioni maturate a far data dalla cessazione della prestazione in fatto sino alla pronuncia della sentenza.
In particolare, la Corte, dopo aver scrutinato le risultanze istruttorie, riteneva l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sulla base degli essenziali elementi dell'eterodirezione dell'attività del lavoratore e della sua soggezione al potere disciplinare datoriale. Sulla base di tali premesse i giudici di appello pervenivano a liquidare il danno subito dal lavoratore nel periodo intermedio – compreso tra la cessazione della prestazione in fatto e la pronuncia della sentenza di appello - in applicazione della normativa di diritto comune e non, invece, dell'art. 32, quinto comma l. 183/2010.
Avverso tale pronuncia proponeva ricorso la società fondato su quattro motivi.
La ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 d.lg. 276/2003, 2094, 2222 s.s. c.c. in relazione all'art. 2697 c.c., sostenendo che i giudici di appello avessero erroneamente accertato l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, benchè le risultanze della prova orale raccolta deponessero nel senso dell'assenza di un penetrante potere direttivo datoriale e della presenza di semplici direttive programmatiche, rispettose dell'autonomia del prestatore d'opera.
Parte ricorrente denunciava, altresì, la violazione dell'art. 32, quinto comma l. 183/2010, sostenendo che la Corte territoriale avesse erroneamente liquidato il danno al lavoratore nel periodo intermedio, compreso tra la cessazione della prestazione in fatto e la pronuncia della sentenza, sulla base delle retribuzioni maturate, anziché dell'indennità omnicomprensiva prevista dalla norma denunciata, applicata dalla giurisprudenza di legittimità in senso estensivo ad ogni contratto di lavoro a termine convertito in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
La Suprema Corte, in parziale accoglimento del ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte di appello in diversa composizione, cui demandava di provvedere anche in relazione alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
La Suprema Corte innanzitutto rilevava che il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dall'art. 61 d.lg. 276/2003, integra una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e, quindi, senza vincolo di subordinazione (Cass. 6 settembre 2016, n. 17636).
La Suprema Corte rilevava, inoltre, che in tema di qualificazione del rapporto di lavoro in generale, la prolungata esecuzione ed il nomen iuris, pur essendo elementi necessari di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti, occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro (Cass. 1 marzo 2018, n. 4884; Cass. 8 aprile 2015, n. 7024).
Ed infatti, ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, assume preminente rilievo il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici (e non soltanto di direttive di carattere generale, ben compatibili con il semplice coordinamento sussistente anche nel rapporto libero professionale: Cass. 16 novembre 2018, n. 29646), oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728).
Una tale valutazione di fatto è rimessa in via esclusiva al giudice del merito e, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità, ove è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass. 25 febbraio 2019, n. 5436).
Applicando tali principi alla fattispecie in oggetto la Suprema Corte osservava che la Corte di appello, sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie, aveva compiuto un accertamento in fatto congruamente argomentato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
Con riferimento alla liquidazione del danno risarcibile la Suprema Corte cassava la sentenza gravata nella parte in cui aveva escluso l'applicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 32, quinto comma l. 183/2010.
A tale riguardo la Suprema Corte ha rilevato che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, ai fini dell' applicazione dell'indennità in questione, deve sussistere il duplice presupposto della natura a tempo determinato del contratto di lavoro dedotto in giudizio e della sua "conversione", estensibile all'accertamento di ogni ragione che comporti la stabilizzazione del rapporto, anche se derivante da una deviazione dalla causa o funzione ad esso propria, come nell'ipotesi di illegittimità di un contratto di lavoro autonomo a termine, convertito in contratto a tempo indeterminato. Ciò in quanto la predetta indennità consegue a qualsiasi ipotesi di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in sostituzione di altra fattispecie contrattuale a tempo determinato (Cass. 3 agosto 2018, n. 20500).
La Suprema Corte ha, dunque, ritenuto che il regime indennitario istituito dall'art. 32, quinto comma l. 183/2010 sia applicabile anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo, in quanto in tal caso ricorrono entrambe le condizioni suindicate. Ed infatti, il contratto di lavoro a progetto è ontologicamente a tempo determinato, siccome da ricondurre ad uno o più progetti specifici funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale. E' inoltre operativo il meccanismo della conversione, atteso che ai sensi dell'art. 69, primo comma, d.lg. n. 276/2003, è prevista la conversione automatica del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa nel caso in cui lo stesso sia instaurato senza l'individuazione di uno specifico progetto.

Infortunio sul lavoro e responsabilità datoriale

Cass. Sez. Lav. 6 novembre 2019, n. 28516

Pres. Di Cerbo; Rel. Blasutto; P.M. Sanlorenzo; Ric. E.L.; Controric. D.S. S.r.l.

Responsabilità ex art. 2087 c.c. - Identificazione concreta della fattispecie - Compiuta identificazione degli indici di rischio e della nocività dell'ambiente - Necessità - Onere della prova del lavoratore - Sussistenza

Non può esigersi da parte del datore di lavoro la predisposizione di misure idonee a fronteggiare le cause di infortunio imprevedibili, dovendosi escludere che la responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell'art. 2087 c.c. configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto detta responsabilità va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
NOTA
La Corte di appello confermava la pronuncia del Tribunale che aveva respinto la domanda di risarcimento del lavoratore per i danni conseguenti l'aggressione subita da due malavitosi durante l'orario di lavoro e l'infarto patito (poi riconosciuto dall'INAIL come infortunio sul lavoro).
Per la Corte d'appello, nonostante gravi sul datore di lavoro l'onere della prova di aver fatto tutto il possibile per adempiere ovvero la prova che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, il lavoratore non resta esonerato da qualsiasi onere di allegazione e di prova, atteso che l'estensione della norma di protezione (art. 2087 c.c.) richiede l'identificazione della fattispecie concreta e delle specifiche modalità del fatto cui ricondurre quell'obbligo di protezione.
Per la Corte tale onere di allegazione non era stato assolto, essendosi il lavoratore limitato a rappresentare l'aggressione subita e il danno riportato in conseguenza di tale episodio malavitoso.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso il lavoratore ma la Suprema Corte lo ha rigettato.
Secondo la Cassazione, la generica allegazione di un'aggressione non prevedibile per attività criminosa di terzi non può rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 2087 c.c., norma che non può essere dilatata fino a comprendervi ogni ipotesi di danno sull'assunto che comunque il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti; se così fosse si perverrebbe all'abnorme applicazione di un principio di responsabilità oggettiva, ancorata sul presupposto teorico secondo cui il verificarsi dell'evento costituisce circostanza che assurge in ogni caso ad inequivoca riprova del mancato uso di mezzi di prevenzione.
Con riferimento al caso di specie, la Cassazione ha quindi confermato la pronuncia della Corte posto che il lavoratore aveva solamente rappresentato di avere subito un'aggressione sul treno dove prestava servizio e di essere stato colto da infarto in conseguenza di tale episodio malavitoso. Erano totalmente mancate indicazioni circostanziali circa l'esistenza di un rischio specifico e di concreti fattori di pericolo atti a differenziare la situazione lavorativa in cui si trovava ad operare il dipendente rispetto al generico rischio cui va incontro qualunque individuo per fatti penalmente illeciti ed imprevedibili di terzi.

Trasferimento d'azienda e cessione di sola manodopera

Cass. Sez. Lav. 30 ottobre 2019, n. 27913

Pres. Napoletano; Rel. Lorito; P.M. Celeste; Ric. G.H N. s.p.a.; Controric. D.N.D, S.V. e M.A.I s.r.l.;

Trasferimento d'azienda - Cessione di sola manodopera - Configurabilità - Subentro nell'appalto - Differenze

L'autonomia organizzativa dell'entità economica ceduta può configurarsi anche in presenza di trasferimento di sola manodopera potendosi concretizzarsi non solo attraverso la natura e le caratteristiche della concreta attività spiegata, ma anche in ragione di altri significativi elementi quali, ad esempio, la direzione e l'organizzazione del personale, il suo specifico inquadramento, le peculiari modalità di articolazione del lavoro e i relativi metodi di gestione, ovvero quando vi sia cessione di un ramo "dematerializzato" o "leggero" dell'impresa, o nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how, e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio.
NOTA
Con ricorso ex art.1, co. 48, L. 92/12 al Tribunale di Napoli, due dipendenti di una società di gestione aeroportuale esponevano: a) che l'impresa, a seguito della perdita di una commessa, aveva licenziato ex L. 223/91 tutti gli ottanta dipendenti; b) che la società subentrata nel predetto appalto, in virtù della clausola sociale, procedeva ad assumere solo 75 degli ottanta dipendenti; c) che vi era stata cessione di beni strumentali simulata da fittizie vendite. Su tali premesse, i ricorrenti chiedevano dichiararsi l'inefficacia dei licenziamenti e, previo riconoscimento dell'intervenuto trasferimento d'azienda, loro conseguente reintegra presso la cessionaria, oltre il risarcimento del danno. Il Tribunale accoglieva le domande, ordinando la reintegra dei lavoratori e riconoscendo loro il diritto al risarcimento del danno nella misura di dieci mensilità̀. La pronuncia veniva confermata dalla Corte territoriale che riteneva violate le norme legali e contrattuali disciplinanti le modalità di attuazione della clausola sociale - stante la mancata predisposizione da parte dell'aggiudicataria di graduatorie per fasce e per anzianità di servizio - con conseguente illegittimità dei licenziamenti intimati. La reintegra andava, poi, disposta nei confronti dell'aggiudicataria, stante il riconoscimento di un trasferimento di ramo aziendale ex art. 2112 c.c. verificatosi con il passaggio della quasi totalità del personale e dei beni strumentali.
Avverso tale decisione i lavoratori ricorrono per cassazione e le società resistono con controricorso, proponendo la originaria datrice di lavoro, a sua volta, ricorso incidentale.
La suprema Corte rigetta entrambi i ricorsi ed afferma il principio di cui alla massima, già espresso in vari precedenti (Cass. 4 dicembre 2002 n.17207; Cass. 8 maggio 2014 n.995; Cass. 25 settembre 2013 n. 21917). Osserva la Corte che la nozione giuslavoristica di azienda, imperniata sull'ormai prevalente concetto di "organizzazione" piuttosto che sul complesso di beni di cui all'art.2555 c.c., ha agevolato la sussunzione nella fattispecie astratta ex art. 2112 c.c. anche in ipotesi di aziende "dematerializzate", consistenti in un insieme di rapporti giuridici e/o contratti come nel caso delle attività labour intensive. Nè - precisa la Cassazione - a ciò osta il disposto dell'art. 29, comma 3, D. Lgs. n. 276/03, essendo da privilegiare quell'interpretazione secondo cui tale norma afferma soltanto che l'acquisizione del personale da parte dell'impresa subentrante in un appalto non costituisce di per sé un trasferimento di azienda, ma non che non può concorrere ad integrarlo. E proprio sulla scia di tale ultimo condivisibile orientamento, secondo la Suprema Corte, va ribadito il principio alla cui stregua, in caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall'appaltatore cessato al trasferimento automatico all'impresa subentrante, ma occorre accertare, in concreto, che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell'art. 2112 c.c., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all'attività di impresa, o almeno del "know how" o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell'art.29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003. Nè ciò è in contrasto con la giurisprudenza europea che consente, ma non impone, di estendere l'ambito di protezione dei lavoratori di cui alla Dir. n. 2001/23/CEE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda (Cass. 6 dicembre 2016 n.24972; Cass. 18 marzo 2019 n.8922). Pertanto o vi è trasferimento d'azienda o di una sua parte ex art. 2112 c.c., e quindi prosecuzione ex lege del rapporto di lavoro, oppure c'è subentro nell'appalto, con applicazione dello statuto speciale dettato da un insieme di norme di fonte collettiva e legale.
Secondo la Suprema Corte i giudici del merito si sono attenuti a tali principi avendo ritenuto perfezionata l'ipotesi di trasferimento d'azienda sul presupposto dell'accertamento del passaggio della commessa con contestuale passaggio della quasi totalità del personale ed trasferimento dell'utilizzo dei beni strumentali.
Il ricorso viene, pertanto respinto insieme a quello incidentale.

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