Contenzioso

Come si valuta la giusta causa di recesso nel contratto di agenzia

di Valeria Zeppilli

La giusta causa di recesso, così come individuata dall'articolo 2119 del codice civile, quando è relativa a un contratto di agenzia deve essere valutata considerando che tale contratto ha una natura differente rispetto a quella del rapporto di lavoro subordinato e, soprattutto, della circostanza che in esso le parti possono avere una diversa capacità di resistenza.
Tenendo conto di tale fondamentale presupposto, per la Corte di cassazione (sezione lavoro, 12 novembre 2019, n. 29290), il giudice del merito chiamato a compiere un giudizio circa la sussistenza, in concreto, di una giusta causa di recesso, deve provvedervi considerando, innanzitutto, le dimensioni economiche complessive che ha il contratto di agenzia di riferimento e, poi, l'incidenza che l'inadempimento ha sull'equilibrio contrattuale.
Solo valutando correttamente la portata di tali aspetti è infatti possibile verificare se vi sia stato un inadempimento colpevole e di non scarsa importanza che abbia leso l'interesse della parte in maniera considerevole, tanto da non consentire al rapporto di agenzia di proseguire neanche provvisoriamente.
Inoltre, la nozione di giusta causa nel contratto di agenzia va valutata tenendo conto anche della circostanza che il rapporto di fiducia, in tale contesto, è più intenso rispetto a quanto avviene nel rapporto di lavoro subordinato, considerata l'autonomia più ampia che viene data all'agente rispetto al lavoratore nella gestione della propria attività, per luoghi, tempi, modalità e mezzi. Il che vuol dire, in concreto, che la giusta causa di recesso nel rapporto di agenzia può ritenersi integrata al ricorrere di un fatto di minore consistenza di quelli che sono invece idonei a integrarla nel contratto di lavoro subordinato.
Nella recente pronuncia, la Cassazione non si è limitata solo ad analizzare la portata dell'articolo 2119 del codice civile rispetto al rapporto di agenzia, ma ha anche chiarito un altro importante principio a quest'ultimo applicabile.
In particolare, i giudici hanno precisato che, per effetto della legge numero 65/1999, da diverso tempo ormai deve ritenersi che il diritto dell'agente alla provvigione sorge a partire dal momento in cui "il preponente abbia eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo, qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico". Al più tardi, esso sorge dal momento e nella misura in cui "il terzo abbia eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito quella a suo carico", salvo diversa pattuizione. Il che vuol dire che, per la Corte, deve ritenersi ormai definitivamente superata la vecchia interpretazione in forza della quale l'agente maturava il suo diritto alla provvigione non nel momento di svolgimento dell'attività di promozione del contratto, ma solo al buon fine di questo.

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