Contenzioso

Limiti all’applicabilità della disciplina dell’indebito pensionistico

di Silvano Imbriaci

La disciplina dell'indebito in materia previdenziale e assistenziale è sempre stata oggetto di particolare attenzione da parte della giurisprudenza, anche solo per la frequenza del fenomeno di corresponsione di somme non dovute a causa di errori, modifiche di normative, riliquidazioni, motivi fiscali, solo per citare alcuni esempi.

La normativa ha sempre tentato di bilanciare l'esigenza di evitare uso improprio di denaro pubblico con la funzione primaria di destinazione delle prestazioni pensionistiche e previdenziali alla soddisfazione di bisogni primari, tenuto conto anche delle aspettative legittime di chi queste somme riceve. Per questo si è assistito nel tempo al dispiegarsi di una disciplina specifica, diversa dal regime ordinario civilistico dell'indebito (articolo 2033 del Codice civile e seguenti), che però non ha mai smesso di essere discussa e interpretata, anche a causa della stratificazione di norme e di disposizioni che l'hanno caratterizzata.

La normativa, nel complesso più favorevole all'assistito, è contenuta nell'articolo 52 della legge n. 88/1989, anche se, in estrema sintesi, l'iniziale principio di totale irripetibilità delle somme corrisposte, salvo il caso di mala fede dell'interessato ivi previsto, è stato poi mitigato dall'articolo 13, comma 1, della legge n. 412/1991 (norma di interpretazione autentica) che ha circoscritto l'applicazione generalizzata del principio alla presenza di tre condizioni: la presenza di un provvedimento definitivo dell'ente di attribuzione delle somme, la comunicazione di questo provvedimento all'interessato e l'assenza o incompleta segnalazione da parte dell'assicurato di fatti incidenti sulla misura o sul diritto a pensione.

Una delle questioni su cui in modo ricorrente torna la Cassazione è quella dell'individuazione dell'oggetto dei trattamenti cui si applica la disciplina di favore dell'articolo 52 citato. Trattandosi, infatti, di norma che prevede un regime speciale, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che non potesse applicarsi al di là dello stretto ambito della materia pensionistica (cfr. fin da Cass. n. 10696/1995).

Anche con la sentenza n. 31373 del 2 dicembre 2019 si affronta tale specifica questione in punto di applicabilità della disciplina dell'indebito pensionistico alla ripetizione di ratei di indennità di mobilità indebitamente percepiti da un assicurato risultato titolare, nello stesso periodo, di assegno ordinario di invalidità, senza che fosse stata effettuata alcuna opzione per l'uno o l'altro trattamento, come invece imposto dalla legge (incompatibilità tra le due provvidenze: articolo 6, comma 7 , del Dl n. 148/1993, convertito con modifiche in legge n. 236/1993). In fase di merito era stata applicata alla fattispecie la norma di cui all'articolo 52 citato, ritenendola compatibile con il recupero dei ratei di indennità di mobilità (principio generale della non ripetizione, salvo il caso di dolo del beneficiario).

La Cassazione rileva, tuttavia, che le disposizioni sull'indebito pensionistico hanno carattere eccezionale e non sono suscettibili di interpretazione analogica (Cass. n. 28517/2008). Sotto questo profilo il trattamento di mobilità non ha carattere pensionistico, ma costituisce una prestazione previdenziale che per la sua natura (oltre che per la lettera della legge) non rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 52, che invece mira alla tutela delle situazioni regolate esclusivamente dal rapporto pensionistico. Peraltro, risponde alla stessa ratio anche l'esclusione dell'applicazione della disciplina dell'indebito agli eredi, in quanto il fondamento costituzionale dell'esclusione della ripetizione in funzione della tutela delle essenziali esigenze di vita dell'assicurato o del pensionato non è ravvisabile laddove l'erogazione non sia in alcun modo riconducibile a un rapporto previdenziale o assistenziale facente capo al percettore (cfr.Cass. n. 21453/2013). Sotto questo profilo la casistica offre numerose ipotesi in cui l'esclusione è stata disposta in via giurisprudenziale: prestazioni assistenziali (su cui vedi anche Corte costituzionale, 22/07/2004 , n. 264; Cass. n. 1446/2008); forme integrative di previdenza aziendale, disciplinate da norme contrattuali o regolamentari, in quanto prive del carattere obbligatorio (Cassazione civile sez. lav., 31/01/2017, n.2506); integrazione salariale (Cass. n. 6338/1999); indennità di disoccupazione (Cass. n. 3488/2003), solo per fare alcuni esempi. In tutti questi casi, come nel caso di cui alla sentenza in commento, gli unici limiti che incontra la pretesa restitutoria dell'Inps sono quelli fissati dall'articolo 2033 del Codice civile nel caso di buona fede dell'accipiens, con decorrenza degli interessi dal giorno della domanda di ripetizione e non da quello del pagamento.

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