Contenzioso

Voucher lavoro, la Cassazione spiega il criterio di calcolo

di Angelina Turco

La Cassazione spiega il peso del valore dei voucher nella determinazione del limite del loro utilizzo previsto dalla legge, ai fini dell'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

La sentenza 12 dicembre 2019 n. 32702, in commento, riprende la ricostruzione dei fatti, a proprio avviso corretta, effettuata dalla Corte di appello.

Tra il lavoratore e una grande catena di Fast Food risultavano due distinti rapporti di lavoro, il primo dei quali ricondotto dalle parti a un contratto di lavoro accessorio, e il secondo, intervenuto alla scadenza del primo, ricondotto a contratto di apprendistato professionalizzante della durata di 36 mesi, con allegato piano formativo individuale.

Il lavoratore, come ricostruito dalla Corte, era stato sempre inserito nei turni di lavoro predisposti dalla società al pari di colleghi stabilmente assunti. Vi era stata inoltre, per tutta la durata dei successivi e consecutivi rapporti, una soggezione a orari indicati dalla società e alle direttive impartite dalla stessa, in persona dei suoi responsabili, senza possibilità di distinguere in concreto tra le due diverse tipologie contrattuali, non essendo tra l'altro provato che il lavoratore avesse avuto per il periodo di apprendistato una reale formazione.

Le prove avevano condotto la Corte d’appello a ritenere che la società avesse fatto ricorso alle due forme contrattuali al fine di coprire mansioni relativamente semplici, nell'ambito di un unico e prolungato rapporto solo formalmente precario.

Interessante, infine, il peso dato dalla sentenza ai voucher lavoro, in concorso con gli altri indici, ai fini della quantificazione delle ore lavorate e dell'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato. I giudici di legittimità spiegano che il limite quantitativo pari a 2mila euro, fissato dall'articolo 70 del decreto legislativo n. 276 del 2003, riferito ai compensi percepiti per prestazioni accessorie in favore di un singolo committente nel corso dell'anno solare, deve essere interpretato come compenso lordo e non netto; poiché il valore del voucher corrisposto al lavoratore era pari a 10,00 euro, i 2mila euro di "compenso" massimo corrispondevano a 200 vouchers, e quindi a 200 ore che il lavoratore poteva prestare nei confronti del singolo committente nel corso di un anno solare. Poiché il lavoratore aveva prestato 231 ore di lavoro accessorio, per un reddito imponibile di euro 2.310,00, il limite era stato nella specie superato, con la conseguente trasformazione del rapporto di lavoro accessorio in rapporto di lavoro subordinato. La sentenza entra nel dettaglio della previsione normativa specificando che per "compenso" deve intendersi la retribuzione per il lavoro eseguito, e che dal confronto tra i due commi dell'articolo 72, uno riferito al compenso, l'altro alle spettanze corrisposte dal datore, il "compenso" doveva essere inteso come valore nominale del voucher, ossia quale somma lorda rappresentata dallo stesso, e non come somma di danaro concretamente riscossa dal lavoratore pari al 75% del valore nominale del voucher, in quanto, a giudicare diversamente, il limite di liceità per il ricorso al lavoro accessorio sarebbe stato di 2666,66 ore.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©