Contenzioso

Il contesto ambientale giustifica l’insulto

di Giuseppe Bulgarini d'Elci


È privo di rilievo disciplinare e non ha carattere antigiuridico il comportamento del lavoratore che abbia urlato nei confronti del superiore gerarchico, di fronte ad altri colleghi, la frase «ladro tu e l'azienda che mi rubate soldi ogni mese, il cedolino è sbagliato», poiché in precedenti occasioni il datore di lavoro aveva elaborato erroneamente le buste paga.

Assume valore dirimente, privando le dichiarazioni e l'atteggiamento del lavoratore di ogni risvolto illecito, il contesto ambientale nel quale essi vanno collocati e, in particolare, il fatto che in precedenti occasioni il dipendente si era dovuto misurare con la non corretta registrazione in busta paga delle ore di lavoro effettivamente lavorate.

È questa la conclusione cui è pervenuto il tribunale di Milano (sentenza 3002 del 30 dicembre 2019), per il quale le accuse di ladrocinio esplose dal dipendente contro un responsabile aziendale e la stessa impresa costituiscono una «reazione puramente istintiva ed emotiva» rispetto a precedenti inadempimenti del datore di lavoro. Se, in altri termini, il lavoratore ha subito errori e omissioni nel calcolo delle buste paga mensili, la successiva aggressione verbale e le affermazioni potenzialmente ingiuriose rivolte pubblicamente nei confronti del datore di lavoro e del responsabile aziendale perdono ogni tratto disciplinarmente rilevante e vanno equiparate a un fatto, benché sussistente, privo di carattere illecito.

Da questo assunto il tribunale di Milano trae la conclusione che il dipendente, anche nel vigore del regime sanzionatorio delle tutele crescenti, debba essere reintegrato in servizio e risarcito in misura pari alle retribuzioni mensili dal giorno del recesso a quello della effettiva ricostituzione del vincolo contrattuale.

La tesi esposta dal tribunale di Milano si iscrive in quel filone della giurisprudenza di merito che, in presenza di licenziamenti per giusta causa, accorda il rimedio della reintegrazione anche ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo la riforma del Jobs act. È solo il caso di ricordare che, alla luce del decreto 23/2015 sulle tutele crescenti, la reintegrazione costituisce un rimedio assolutamente residuale, cui si accede (solo) nel caso in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale alla base del provvedimento espulsivo.

Recenti approdi della giurisprudenza, anche di legittimità, hanno affermato che la contestazione di un fatto bagatellare, ovvero di un addebito privo di valore antigiuridico, vada equiparata al fatto materiale insussistente. Sposando questa interpretazione, sono sempre meno rare le pronunce di merito che, anche nel segmento dei contratti a tutele crescenti (ovvero per i rapporti di lavoro costituiti dal 7 marzo 2015), applicano il rimedio della reintegrazione alla illegittimità del licenziamento disciplinare.

Nel solco di questo orientamento si muove il tribunale di Milano, che ha utilizzato la leva della irrilevanza disciplinare dei fatti oggetto di contestazione per approdare alla tutela reale. È lecito, tuttavia, porsi qualche domanda sull'utilizzo della categoria della antigiuridicità in presenza di condotte che, al contrario, non appaiono del tutto avulse da un rilievo di censura.

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