Contenzioso

Pensione, la quota volontaria conta sempre

di Fabio Venanzi

La contribuzione volontaria versata direttamente dal lavoratore è parificata all’integrazione volontaria della contribuzione stessa. Lo precisa la Corte di cassazione con la sentenza 2235/2020.

Una dipendente dell’Inps aveva ottenuto, in primo e secondo grado, il pagamento della prestazione pensionistica, in deroga ai requisiti vigenti al momento della richiesta della pensione. In particolare, l’interessata – negli Anni Ottanta – era stata autorizzata a versare volontariamente contributi, al fine di dare copertura a periodi di interruzione della prestazione lavorativa dovuti ad aspettativa per motivi famigliari. Tale autorizzazione, secondo la lavoratrice, le avrebbe consentito di accedere alla pensione con i vecchi requisiti (57 anni di età con 35 anni di contributi), invece di quelli più penalizzanti, introdotti successivamente.

Secondo l’Inps, la prosecuzione volontaria è un beneficio che consente, ai lavoratori rimasti privi di copertura contributiva per assenza di un rapporto di lavoro, di proseguire il versamento assumendosi l’onere del pagamento dei contributi, al fine di tutelare una particolare situazione di debolezza dell’interessato.

L’autorizzazione alla copertura assicurativa di periodi non coperti da contribuzione opera, al contrario, in costanza di rapporto di lavoro mirando a soddisfare le esigenze di una integrale copertura degli eventuali “periodi buco” venutisi a creare, su situazioni giuridicamente tutelate.

La differenza tra le due situazioni (simili ma non identiche) è che, nella prima il rapporto di lavoro è assente mentre nella seconda esiste ma è momentaneamente sospeso. Secondo la Suprema corte, le due autorizzazioni sono assimilabili e una loro diversa pesatura sembrerebbe irragionevole, atteso che entrambe mirano a dare copertura a periodi temporali altrimenti non utili ai fini dell’accesso alla pensione.

sentenza 2235/2020

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