Contenzioso

Causalità presunta tra lavorazione e malattia professionale tabellata

di Flavia Maria Cannizzo

Nell'ambito delle malattie professionali cosiddette "tabellate" è presunta la causalità fra lavorazione e malattia professionale contratta, spettando all’Inail l'onere della prova contraria liberatoria, ovvero dimostrare l'efficacia causale esclusiva di eventuali fattori morbigeni extra-lavorativi. In carenza di questa prova contraria, deve ritenersi sussistente il nesso causale tra l'attività professionale e la malattia previste in tabella.

La Cassazione (sentenza 4 febbraio 2020, numero 2523) torna, di nuovo, a occuparsi delle morti da esposizione alle fibre di asbesto, per illustrare la ripartizione dell'onere della prova nel sistema tabellare delle malattie professionali nell'industria previste dal Dpr 1124 del 1965 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).

La sentenza è resa a definizione della lunga vicenda processuale (iniziata ormai un ventennio fa) che ha visto protagonisti gli eredi di un lavoratore addetto ai lavori portuali deceduto per carcinoma polmonare, il quale era stato esposto nella sua vita professionale all'amianto. Gli eredi avevano richiesto all’Inail l'erogazione della rendita ai superstiti in ragione della causa lavorativa della malattia mortale che aveva colpito il loro congiunto.

Dopo una sentenza favorevole in primo grado, la Corte d'appello di Napoli aveva rigettato la domanda affermando che non risultava provato il ruolo esclusivo (o almeno prevalente) dell'esposizione all'amianto nella causazione della patologia mortale, in correlazione alle possibili cause concorrenti, quali il fumo di tabacco. Contro la pronuncia della corte territoriale ricorrevano in Cassazione gli eredi, sul presupposto che in relazione alle patologie "tabellate" non spettasse a loro tale onere probatorio.

I giudici di legittimità, dando seguito ai motivi di ricorso, definiscono, con sentenza dotata di grande chiarezza, che nel sistema tabellare delle malattie professionali del Testo unico Inail la distinzione fra malattie comprese e non comprese nelle tabelle rileva proprio per ripartire diversamente l'onere della prova. E infatti l'inclusione in tabella sia della lavorazione, sia della malattia contratta comporta la presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, «avendo già l'ordinamento compiuto la correlazione causale tra i due termini» (così, da Cassazione sezioni unite 1919/1990 in avanti). Ciò, tenendo presente, per il caso di malattie a eziologia plurima o multifattoriale, che il lavoratore deve comunque fornire la prova dell'idoneità della sua esposizione al rischio a cagionare l'evento (secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifico-statistica).

Diverso il caso in cui, più genericamente, il Testo unico preveda lavorazioni e malattie non nominate e individui il mero agente morbigeno (per esempio «altre malattie causate dall'esposizione professionale a composti organici del fosforo»). In questi casi, l'assicurato sarà onerato integralmente della prova dell'eziologia lavorativa della patologia contratta, non avendo il legislatore operato a livello normativo la valutazione sulla correlazione causale.

Così, nel caso di specie, i giudici del lavoro hanno errato, secondo la Cassazione, nel porre a carico degli eredi la prova dell'esclusione di altri fattori causali del carcinoma sofferto dal congiunto come desumibili dalla sua anamnesi personale e dalle sue abitudini di vita, incombendo al contrario sull’Inail l'onere di dimostrare l'eventuale efficacia esclusiva di essi sul piano causale. La sentenza di merito viene, pertanto, cassata con rinvio alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione per il nuovo giudizio sulla base dei principi di diritto esposti.

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