Contenzioso

Studio associato in giudizio per i crediti del socio

di Patrizia Maciocchi

Lo studio associato può costituirsi in giudizio per i crediti relativi alle prestazioni svolte dai singoli professionisti.

La Corte di cassazione, con l’ordinanza 3850/2020, ha respinto il ricorso della cliente che contestava, oltre al decreto ingiuntivo, con cui le veniva imposto di pagare quasi 42mila euro, anche la legittimazione attiva dello studio associato di commercialisti già negata dal Tribunale ma riconosciuta dalla Corte d’appello.

La ricorrente riteneva eccessive le somme pretese per una stima della situazione patrimoniale dell’ex marito e sottolineava l’impossibilità per lo studio di sostituirsi ai singoli associati nei rapporti con la clientela e quindi di agire per crediti maturati grazie a prestazioni di natura personale.

Una non “estensibilità” del diritto a stare in giudizio dimostrata anche dal fatto che nessun mandato era stato conferito allo studio ma solo al singolo commercialista. La Cassazione però smentisce questa tesi.

I giudici di legittimità considerano superato l’orientamento invocato dalla signora secondo il quale l’associazione tra professionisti «non configurandosi come centro autonomo di interessi dotato di propria autonomia strutturale e funzionale, né come ente collettivo, non assume la titolarità del rapporto con i clienti, in sostituzione ovvero in aggiunta al professionista associato». Per la Suprema corte è un principio dal quale è necessario prendere le distanze.

L’associazione tra professionisti può, infatti, non essere finalizzato solo alla divisione delle spese e alla gestione congiunta dei proventi.

Gli accordi tra associati (articolo 36 del Codice civile) possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da questi curati in prima persona.

Una circostanza che, una volta accertata dal giudice di merito, fa scattare la legittimazione dello studio al giudizio. E nello specifico dall’atto costitutivo e dallo statuto dello studio si evinceva chiaramente che i membri dell’associazione avevano conferito alla stessa non solo l’attività professionale, ma anche ogni singolo incarico ricevuto dagli associati e tutti gli effetti economici che derivavano dall’attività svolta.

Lo stesso valeva per tutte le somme di denaro incassate dai clienti per l’attività dello studio, nell’esclusivo interesse dell’associazione.

Niente da fare per la ricorrente neppure per quanto riguarda il suo maxi-debito. La quantificazione, che sfiorava i 42mila euro, aveva avuto il benestare dell’ordine dei commercialisti, anche perché era stato adottato un metodo tradizionale per questo tipo di attività professionale: quello di “tarare” il compenso dovuto con quello già corrisposto al legale della ricorrente.

L’attività svolta dal commercialista era stata inoltre utilizzata nel giudizio di divorzio consentendo alla cliente di raggiungere positivi risultati economici.

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