Contenzioso

Acquisto delle divise dei dipendenti, l’Iva versata deducibile dal reddito d’impresa

di Salvatore Servidio

La Corte di cassazione, con sentenza 12 febbraio 2020, n. 3387, è stata chiamata a stabilire se la fornitura al personale di divise da indossare durante l'orario di lavoro potesse integrare una cessione gratuita imponibile ai fini Iva (con addebito della stessa in rivalsa ai dipendenti) o se, al contrario, si era in presenza di un'operazione non rilevante ai fini Iva (per carenza del presupposto oggettivo).
A seguito di verifica fiscale, l'agenzia delle Entrate emetteva due distinti avvisi di accertamento Irap e Ires nei confronti di una società e della sua controllante, le cui impugnazioni venivano accolte in primo e in secondo grado, con annullamento della pretesa impositiva. Sul punto, il giudice d'appello ha ritenuto che la peculiarità dei beni ceduti (indumenti di lavoro indossati dal personale durante il servizio) escludeva la facoltà di esercitare la rivalsa con conseguente deducibilità dell'Iva; in particolare, trattandosi di indumenti indossati obbligatoriamente dal personale, la società non aveva la facoltà di esercitare la rivalsa, non potendo far gravare sui dipendenti né il costo degli stessi, né l'Iva, con ciò escludendosi l'applicazione dell'articolo 99 del Tuir che, invece, presuppone la possibilità di esercitare la rivalsa.
Nel conseguente ricorso per Cassazione l'ente impositore lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente escluso l'applicabilità dell'articolo 99 del Dpr n. 917/1986 - il quale prevede l'indeducibilità dall'imponibile ai fini delle imposte dirette, dell'Iva, dell'Irap e delle imposte per le quali è prevista la rivalsa anche facoltativa -, consentendo così alla contribuente di ricomprendere tra i costi deducibili (ai fini delle imposte dirette e dell'Irap) anche l'Iva sugli indumenti indossati obbligatoriamente dai dipendenti durante l'orario di lavoro. In particolare, il ricorso assume che, poiché l'articolo 2 del Dpr n. 633/1972 ricomprende tra le cessioni di beni soggette a Iva anche le cessioni gratuite di beni, il mancato esercizio della rivalsa (essendo irrilevanti le ragioni sottese al mancato esercizio) avrebbe dovuto comportare l'indeducibilità dell'Iva in base all'articolo 99 del Tuir.
Premesso che il giudice di legittimità è stato chiamato a stabilire se la fornitura al personale di divise da indossare durante l'orario di lavoro potesse integrare una cessione gratuita imponibile ai fini Iva (con addebito della stessa in rivalsa ai dipendenti, ex articolo 19 del Dpr n. 633/1972) o se, al contrario, si era in presenza di un'operazione non rilevante ai fini Iva (per carenza del presupposto oggettivo), con la pronuncia n. 3387/2020 in esame, la Sezione tributaria, respingendo il ricorso erariale, afferma che l'Iva versata per l'acquisto delle divise dei dipendenti è deducibile dal reddito d'impresa.
Sull'argomento si registra che un primo orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 16030/2015), secondo cui la cessione gratuita vera e propria si manifesta, a fini fiscali, solo quando il trasferimento del bene sia davvero senza controprestazione, mentre restano escluse le operazioni permutative (articolo 11) e quelle cessioni nelle quali la carenza apparente della controprestazione, trova una peculiare giustificazione economica e giuridica come ad esempio nel caso di sostituzione gratuita di un bene in garanzia o di beni invenduti (articolo 73). La ratio dell'articolo 2, comma 2, n. 4)(in base al quale costituiscono cessioni di beni anche le cessioni gratuite di beni a esclusione di quelle la cui produzione o il cui commercio non rientra nell'attività propria dell'impresa se di costo unitario non superiore a lire 50mila e di quelli per i quali non sia stata operata, all'atto dell'acquisto o dell'importazione, la detrazione dell'imposta a norma dell'art. 19), è costituita dall'esigenza di evitare che beni uguali giungano al consumo con diversi carichi fiscali ovvero addirittura senza tassazione; da ciò deriva l'esclusione dall'imponibilità delle cessioni gratuite di beni per i quali non sia stata detratta l'Iva al momento dell'acquisto o dell'importazione.
Un altro orientamento (Cass. n. 19077/2005) assume che in tema di determinazione del reddito d'impresa, poiché, ai sensi degli articoli 53, comma 2, e 62, comma 1, del Dpr n. 917/1986, i beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività d'impresa vanno compresi tra i ricavi se destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore, e tra le spese se destinati ai dipendenti, i beni attribuiti ai dipendenti, per la loro natura di costi, non possono essere compresi tra gli elementi positivi del reddito, e il loro valore non costituisce pertanto elemento presuntivo di afferente percezione di reddito. Ne discende, quindi, che i beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa vanno compresi tra i ricavi se destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore e alle spese se destinati ai dipendenti, con la precisazione che, nel caso di consumo personale o familiare dell'imprenditore, deve essere considerato il loro valore normale (diverso da quello costituente corrispettivo di quegli stessi beni in caso di cessione a terzi). I beni attribuiti ai dipendenti, invece, per la loro natura di costi, non possono essere compresi tra gli elementi positivi del reddito e, quindi, il loro valore non costituisce elemento presuntivo di afferente percezione di reddito.
Anche nella giurisprudenza comunitaria si ritiene che, ai fini Iva, la fruizione dei pasti da parte dei dipendenti non è considerata autoconsumo di beni, dovendosi accertare se gli elementi di prestazione di servizi che precedono e accompagnano la fornitura dei cibi siano o meno preponderanti (cfr. Corte Giust., causa C-497/09 del 2011).
La Cassazione (v. sent. n. 21290/2016) ha quindi affermato che la somministrazione dei pasti ai dipendenti da parte del datore di lavoro non costituisce ricavo ai fini delle imposte dirette e non è assoggettabile a Iva, atteso che, ai sensi dell'articolo 62 (ora 95) del Dpr n. 917/1986, i beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività d'impresa vanno compresi tra le spese se destinati ai dipendenti e che, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del Dpr n. 633/1972, le somministrazioni nelle mense aziendali non integrano prestazioni di servizi (contra Cass. n. 3953/1998).
Aderendo agli ultimi principi giurisprudenziali evidenziati, la Suprema corte ha rilevato nella pronuncia n. 3387/2020 in esame come la messa a disposizione di divise ai dipendenti rientri tra gli obblighi contrattuali dell'imprenditore, il quale è tenuto a fornire l'abbigliamento unitamente agli altri strumenti di lavoro.
La particolare configurazione dell'obbligo ha, pertanto, condotto la Corte a non considerare integrata una cessione gratuita avente rilevanza ai fini Iva, con conseguente impossibilità per il datore di lavoro di esercitare la rivalsa nei confronti del personale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©