Contenzioso

Licenziamento, per il giustificato motivo oggettivo non serve la crisi economica dell’azienda

Il datore di lavoro può legittimamente licenziare un dipendente per soppressione della posizione lavorativa anche se l’andamento economico della società è positivo

di Marcello Floris

Il datore di lavoro può legittimamente licenziare un dipendente per soppressione della posizione lavorativa (giustificato motivo oggettivo) anche se l’andamento economico della società è positivo. È il principio stabilito dalla Cassazione nell’ordinanza 3908/2020 pubblicata il 17 febbraio 2020.

Secondo la Corte, il licenziamento non deve essere legittimato dimostrando un trend economico negativo: il giustificato motivo oggettivo si configura quando la soppressione della posizione lavorativa consegue a un’effettiva riorganizzazione dell’impresa, che può essere decisa anche solo per diminuire i costi o incrementare la redditività. Il giudice quindi non può pretendere le prove di uno stato di crisi perché in questo modo andrebbe a sindacare la sostanza delle scelte imprenditoriali nell’organizzazione dell’ attività.

Il datore di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione perché sia il Tribunale sia la Corte d'Appello non si erano limitati a verificare l'esistenza di un nesso causale tra la soppressione della posizione e le regioni addotte. I giudici hanno invece valutato nel merito la decisione imprenditoriale di estromettere il dipendente e ridistribuire le mansioni svolte al legale rappresentante della società ed ai venditori esterni. La Cassazione ha però chiarito che siffatta scelta imprenditoriale non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell'art. 41 della Costituzione che sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata. Conseguentemente la Corte ha precisato che “ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa”.

Ove però il giudice accerti in concreto l'inesistenza della ragione organizzativa o produttiva il licenziamento risulterà illegittimo per mancanza di veridicità o pretestuosità della causa, ed è necessario che queste ragioni incidano in termini di causa efficiente sulla posizione del lavoratore licenziato.

Nel caso esaminato dalla Corte non era in contestazione l'effettiva soppressione della posizione del lavoratore licenziato né la sua dipendenza in diretto rapporto causale dalla riorganizzazione comunicata nel recesso. Tuttavia i giudici precedenti hanno erroneamente esteso, secondo la Corte, il loro accertamento alla verifica della necessità di fronteggiare la situazione sfavorevole di mercato e del datore di lavoro. In questo modo è stato disatteso un consolidato orientamento della Cassazione espresso da varie decisioni tra cui la n. 25201 del 7 dicembre 2016, in cui è chiarito che “esigere la sussistenza di una situazione economica sfavorevole per rendere legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo significa inserire nella fattispecie legale disegnata dall'art. 3 l. 604/1966 un elemento fattuale non previsto con una interpretazione che trasmoda inevitabilmente, nel sindacato sulla congruità e sulla opportunità della scelta imprenditoriale”. Il controllo giudiziale va invece limitato, sulla base dei principi dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso a valutazioni tecniche organizzative e produttive che competono al datore di lavoro.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©