Contenzioso

Responsabilità del datore per fatto illecito del dipendente ed autonomia risarcitoria del danno morale

di Flavia Maria Cannizzo

La sofferenza interiore patita dalla dipendente per fatti di molestia e violenza sessuale commessi dai suoi superiori gerarchici in occasione di lavoro deve essere risarcita dal datore di lavoro in via autonoma rispetto al risarcimento dovuto per il danno biologico sofferto (comprensivo della componente esistenziale), e alle relative personalizzazioni (seppur elevate).
Il triste caso è quello di una lavoratrice dipendente di una nota compagnia di crociere marittime, che in occasione di lavoro a bordo di una nave da crociera si era trovata a subire, dapprima, molestie sessuali da parte di due dei suoi superiori in linea gerarchica, e, a distanza di breve tempo, lo stupro da parte di uno di essi.
La Corte d'Appello di Genova, confermando la pronuncia di primo grado, aveva accertato la responsabilità indiretta datoriale ex art. 2049 c.c. in relazione ai fatti successi a bordo, aumentando al massimo grado la personalizzazione del danno biologico (sino al 50%, in riforma della prima sentenza) per dare pieno ristoro al grave pregiudizio subito dalla ricorrente.
La Corte ligure, peraltro, nel confutare le difese del datore di lavoro, si era soffermata a chiarire in sentenza che il disposto dell'art. 2049 c.c. non richiede affatto che fra le mansioni affidate dal datore di lavoro al reo e l'evento di danno sussista un nesso di causalità, essendo ben sufficiente un mero nesso di occasionalità necessaria, ed essendo altresì assolutamente irrilevante la valutazione della componente soggettiva dell'autore rispetto all'illecito (secondo i parametri di una responsabilità oggettiva).
La Cassazione (sentenza 18 febbraio 2020 n. 4099) definisce la dolorosa vicenda processuale approntando una (doverosa) tutela ancor più ampia e completa in favore della ricorrente e vittima, e ciò soffermandosi nuovamente a definire e dettagliare i rapporti tra le voci del danno non patrimoniale, per offrire una lettura autonoma del danno morale, da valutarsi - secondo i giudici di legittimità - in modo separato rispetto alle altre voci del danno non patrimoniale comprese nelle quantificazioni delle tabelle milanesi.
Sebbene dalle pronunce di San Martino in avanti, è corretto dire che il giudice debba provvedere ad una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale (come avviene per quello patrimoniale), un'autonoma qualificazione (e quantificazione) è pur sempre necessaria per "l'aspetto interiore del danno sofferto" - il danno morale, appunto - "da identificarsi con il dolore" in tutte le sue sfaccettature (la vergogna, la delusione, la disistima, la paura, la disperazione, ecc.) che si colloca "nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso", e, dunque, al di là delle componenti dinamico-relazionali, queste ultime sì da intendersi ricomprese nella quantificazione del biologico.
Pertanto, se vi è uno stretto legame ontologico fra il danno alla integrità psico-fisica (biologico) e le conseguenze che il predetto danno abbia nell'ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna (esistenziale/alla vita di relazione), per ciò stesso ricomprese nella quantificazione delle tabelle milanesi e nelle percentuali di personalizzazione ivi definite, ciò non può valere per il pregiudizio connesso alla sofferenza interiore della vittima, meritevole di autonoma liquidazione. Per tale ragione, la sentenza viene cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Genova, perché quest'ultima, in diversa composizione, provveda alla liquidazione autonoma del grave danno morale patito dalla giovane donna in occasione di lavoro.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©