Contenzioso

Rassegna di Cassazione

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Licenziamento per giusta causa
Lavoro subordinato e sporadicità dell'attività prestata
Rapporto di lavoro dirigenziale ed eterodirezione
Trasferimento di azienda e contratto a tempo determinato
Informativa sui controlli a distanza ex art. 4 Statuto dei lavoratori


Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav. 24 febbraio 2020, n. 4879

Pres. Nobile; Rel. Arienzo; P.M. Celentano; Ric. C.S. S.r.l.; Controric. P.M.

Licenziamento per giusta causa – Mancata contestazione degli addebiti – Tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, L. 300/1970 – Applicabilità

La tutela reintegratoria prevista dall'art. 18, comma 4, L. 300/1970, in caso di "insussistenza del fatto contestato" è applicabile altresì in caso di inesistenza della contestazione ovvero qualora la stessa contenga fatti diversi da quelli posti alla base del licenziamento. Ciò in quanto la previsione normativa è indicativa della necessità che il "fatto", la cui sussistenza o insussistenza deve essere accertata in giudizio, sia delineato nei suoi esatti termini e contorni già in sede di contestazione. Ciò è altresì coerente con l'esigenza di riconoscere idonee garanzie di difesa al lavoratore in sede di giustificazioni, le quali, ove esaustive e dirimenti, potrebbero indurre il datore anche a desistere dal proseguire nel procedimento disciplinare ed a non irrogare la sanzione espulsiva alla quale la contestazione disciplinare era funzionale.
NOTA
La Corte d'Appello di Ancona, confermando la sentenza del Tribunale di Fermo, confermava l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore e, per l'effetto, la condanna della società alla reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro ex art. 18, comma 4, L. 300/1970. In particolare, i giudici di merito escludevano che le condotte enunciate nella lettera di licenziamento fossero state contestate e, pertanto, ritenevano il licenziamento viziato in radice per insussistenza giuridica dei fatti e violazione del diritto di difesa del lavoratore.
La società propone ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia, sostenendo che nel caso in oggetto fosse configurabile soltanto una violazione procedurale, sanzionata dall'art. 18, comma 6, L. 300/1970, esclusivamente con la tutela indennitaria.
La Suprema Corte ritiene infondata tale censura e, in ossequio al proprio consolidato orientamento, ribadisce che il radicale difetto di contestazione dell'infrazione determina l'inesistenza dell'intero procedimento e non soltanto la violazione delle norme che lo disciplinano. Di conseguenza, in tal caso è applicabile la tutela reintegratoria di cui all'art. 18, comma 4, L. 300/1970, richiamato altresì dal comma 6 del medesimo articolo per l'ipotesi di difetto assoluto di giustificazione del licenziamento (in senso conforme, Cass. 14 febbraio 2016, n. 25745; Cass. 24 luglio 2018, n. 19632; Cass. 28 agosto 2018, n. 21265; Cass. 25 marzo 2019, n. 8293).
Viceversa, non può essere accolta la diversa interpretazione dell'art. 18, comma 6, L. 300/1970, proposta dalla società ricorrente, che escluderebbe la reintegrazione anche qualora un licenziamento per motivi soggettivi non sia preceduto da una contestazione disciplinare. Tale lettura della norma, infatti, renderebbe incoerente il meccanismo sanzionatorio dell'art. 18, L. 300/1970, che prevede o meno la tutela reintegratoria in base all'esito della valutazione circa l'esistenza del "fatto contestato".

Lavoro subordinato e sporadicità dell'attività prestata

Cass. Civ. Sez. Lav. 17 febbraio 2020, n. 3912

Pres. Nobile; Rel. Guido; P.M. Celentano; Ric. G.K.; Controric. L.T. S.r.l.

Lavoro autonomo - Sporadicità dell'attività prestata - Affidamento di compiti saltuariamente svolti - Subordinazione - Configurabilità - Esclusione
In tema di lavoro subordinato, la sporadicità dell'attività prestata e l'affidamento - secondo indicazioni di massima e con possibilità del lavoratore di accettarli o meno - di compiti saltuariamente svolti, esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, denotando tali aspetti la mancanza di eterodirezione e dell'inserimento stabile e costante del lavoratore nella compagine organizzativa aziendale.
NOTA
Una società sottoscriveva in data 10 aprile 2014 un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato con una dipendente e al termine del periodo di prova le comunicava la cessazione del rapporto di lavoro. La dipendente depositava ricorso Fornero avanti al Tribunale sostenendo la nullità del recesso all'esito della prova; per la lavoratrice doveva ritenersi sussistente un precedente rapporto di lavoro subordinato tra le parti in ragione di attività sporadiche rese dalla stessa per la società nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 10 aprile 2014.
Per il Tribunale il ricorso non poteva essere accolto stante l'assenza di prove circa l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo anteriore al 10 aprile. Il recesso ad nutum da parte della società per mancato superamento della prova prevista dal contratto di lavoro a tempo determinato, doveva dunque ritenersi legittimo.
Sia il Tribunale in fase di opposizione che la Corte di Appello confermavano la pronuncia resa in fase sommaria.
Avverso la sentenza della Corte proponeva ricorso la lavoratrice ma la Cassazione lo ha rigettato.
La Suprema Corte, dopo aver ribadito l'irrilevanza di alcune norme speciali (i.e. art. 12 comma 5 del D.lgs. n. 286 del 2005 in materia di autotrasporto) richiamate dalla lavoratrice, ha confermato l'orientamento maggioritario secondo cui, in linea generale, ogni attività può essere resa in regime di autonomia o di subordinazione e per accertare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, occorre considerare non solo lo stabile inserimento del lavoratore nell'organizzazione produttiva, ma anche il carattere continuo della prestazione ed una "effettiva eterodirezione", non rilevando eventuali attività rese in via sporadica ed occasionale. Per la Corte, spetta pertanto al giudice del merito accertare il comportamento tenuto dalle parti nell'attuazione del rapporto di lavoro per qualificarlo come lavoro autonomo o subordinato.
Nel caso in esame, per la Cassazione i giudici dei diversi gradi di giudizio avevano correttamente statuito avendo escluso tout court la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato precedente al 10 aprile 2014 per aver la dipendente svolto in favore del datore di lavoro un unico – seppur impegnativo - incarico.

Rapporto di lavoro dirigenziale ed eterodirezione

Cass. Sez. Lav. 13 febbraio 2020, n. 3640

Pres. Nobile; Rel. Boghetich; P.M. Celeste; Ric. Z.M.M.; Controric. F. S.p.A.;

Dirigente - Subordinazione - Elementi essenziali - Eterodirezione - Sussiste

In ordine alla qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, con particolare riferimento all'attività di un dirigente, è necessario verificare se il lavoratore possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonché al coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale, potendosi ricorrere, altresì, in via sussidiaria, a elementi sintomatici della situazione della subordinazione quali l'inserimento nell'organizzazione aziendale, il vincolo di orario, l'inerenza al ciclo produttivo, l'intensità della prestazione, la retribuzione fissa a tempo senza rischio di risultato.
NOTA
La Corte d'Appello di Torino ha confermato la sentenza del medesimo Tribunale, di rigetto della domanda avanzata da un lavoratore, volta ad accertare la natura subordinata, con qualifica dirigenziale, del rapporto di lavoro.
Secondo la Corte territoriale, il lavoratore non aveva provato di aver ricevuto direttive da parte dei vertici della società.
Avverso tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione, censurando la sentenza per aver trascurato di valutare, ai fini della qualificazione del rapporto, il requisito dell'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale.
La Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo ricorso, affermando che, «ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, di natura dirigenziale, è necessario verificare se il lavoratore possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonché al coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale potendosi ricorrere, altresì, in via sussidiaria, a elementi sintomatici della situazione della subordinazione quali l'inserimento nell'organizzazione aziendale, il vincolo di orario, l'inerenza al ciclo produttivo, l'intensità della prestazione, la retribuzione fissa a tempo senza rischio di risultato».
Il giudice di legittimità ha altresì chiarito che ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale – nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell'emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente – il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l'esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell'organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico – giuridica, anche se nell'ambito di un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata aziendale.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha quindi rigettato il ricorso, ritenendo immune da vizi la decisione della Corte di Appello. Quest'ultima aveva infatti escluso la natura subordinata del rapporto di lavoro, ritenendo che non fosse emerso alcun elemento che potesse ritenere provata la pur attenuata eterodirezione del lavoratore da parte dei vertici aziendali e l'assoggettamento alle direttive ricevute dai medesimi.

Trasferimento di azienda e contratto a tempo determinato

Cass. Sez. Lav. 24 febbraio 2020, n. 4883

Pres. Di Cerbo; Rel. Amendola; P.M. Sanlorenzo Ric. A. S.A.I. S.p.A. in A.S.; Contr. V.L.;

Trasferimento di azienda – Fusione per incorporazione – Licenziamento – Contratto a tempo determinato – Nullità del termine – Ricostituzione rapporto di lavoro ex tunc in capo al cessionario - Art. 2112 c.c. – Applicabilità –

In tema di contratti di lavoro a tempo determinato, la sentenza che accerta la nullità della clausola appositiva del termine e ordina la ricostituzione del rapporto illegittimamente interrotto – cui è connesso l'obbligo del datore di riammettere in servizio il lavoratore – ha natura dichiarativa e non costitutiva; ne consegue che la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato opera con effetto "ex tunc" dalla illegittima stipulazione del contratto a termine.
NOTA
La Corte di appello di Milano aveva confermato la pronuncia del giudice di primo grado che aveva accolto l'impugnativa del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo per illegittimità del termine apposto al precedente contratto di lavoro a tempo determinato e disponendo la ricostituzione del rapporto di lavoro in capo al cessionario essendo intervenuto, nelle more, un trasferimento d'azienda (nella specie, fusione per incorporazione).
In particolare, secondo la Corte territoriale, il lavoratore reintegrato in servizio presso il cedente, a seguito dell'accertamento dell'inefficacia del termine apposto al contratto di lavoro, deve essere considerato – per gli effetti ripristinatori ex tunc della sentenza – parte integrante dell'azienda al momento della sua cessione e, quindi, trasferito ex lege alle dirette dipendenze del cessionario, non essendo preclusa l'applicazione del 2112 c.c. dalla circostanza che il rapporto di lavoro non sia, di fatto, operante al momento del trasferimento, rilevando che il rapporto con il cedente sia, o possa essere, in atto de iure anche se non de facto (per effetto di controversia giudiziaria anche successiva al trasferimento).
Avverso tale decisione la società cessionaria ha proposto ricorso per Cassazione, censurando la decisione della Corte territoriale sotto svariati profili.
In particolare, per quanto qui rileva, la Suprema Corte ritiene che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione del principio secondo il quale «l'applicazione dell'art. 2112 c.c. non risulta preclusa dalla circostanza che il rapporto di lavoro in questione non sia, di fatto, operante al momento del trasferimento, rilevando che il rapporto con il cedente sia, o possa essere, in atto de iure anche se non de facto, per effetto di controversia giudiziaria anche successiva al trasferimento».
La Corte, poi, oltre a ribadire il principio di cui alla massima, ritiene che nell'ipotesi di trasferimento d'azienda, la domanda del lavoratore volta all'accertamento del passaggio del rapporto di lavoro in capo al cessionario – come nel caso di specie – non è soggetta a termini di decadenza, perché non vi è alcun onere di far accertare formalmente, nei confronti del cessionario, l'avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro, in particolare applicandosi il termine di decadenza di cui all'art. 32, comma 4, lett. c) della L. 183/2010 ai soli provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda impugnare, al fine di contestarne la legittimità o la validità.
Conseguentemente, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società cessionaria.

Informativa sui controlli a distanza ex art. 4 Statuto dei lavoratori

Cass. Sez. Lav. 24 febbraio 2020, n. 4871

Pres. Nobile; Rel. Negri Della Torre; P.M. Celeste; Ric. C. D.; Controric. B. S.p.a.

Informazioni raccolte ex art. 4 commi 1 e 2 Legge 300/1970 - Informativa art. 4 St. lav. sui controlli a distanza nella nuova formulazione - Idoneità - Sussiste - Licenziamento individuale per giusta – Legittimità – Fattispecie

La norma di cui al comma 3 dell'art. 4 I. n. 300/1970, nella sua nuova formulazione, contiene la sola previsione della utilizzabilità delle informazioni raccolte ai sensi dei precedenti commi 1 e 2, per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, "a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli", senza alcuna distinzione - purché ne sia accertata l'idoneità - tra informative precedenti e posteriori all'entrata in vigore del d.lgs. n. 151/2015.
NOTA
Una lavoratrice veniva licenziata per giusta causa, per avere, mentre le era stata da poco assegnata la mansione di "referente" di un'agenzia bancaria, effettuato interrogazioni di conti correnti non giustificate da ragioni di servizio.
La lavoratrice impugnava il licenziamento davanti al Tribunale di Roma che respingeva il ricorso. Appellava, quindi, la sentenza davanti alla Corte di Appello di Roma la quale, dopo aver accertato il corretto adempimento, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo informativo di cui al comma 3 dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, come sostituito dall'art. 23 del d.lgs. n. 151/2015, in tema di modalità d'uso degli strumenti informatici, a protezione dei dati personali dei clienti, e di effettuazione dei controlli sui dipendenti incaricati del loro trattamento, confermava la sentenza di primo grado, dichiarando legittimo il licenziamento.
La lavoratrice impugnava, quindi, anche la sentenza di secondo grado lamentando che, la Corte di Appello non avesse esaminato la questione «espressamente posta con il ricorso in appello, della novità dell'incarico di "referente" di agenzia, nel corso del quale si erano verificati i fatti oggetto di contestazione, e della mancanza di formazione (obbligatoria) della dipendente allo svolgimento di tale incarico», e che avesse «erroneamente ritenuto adeguata la nota prodotta in giudizio dal datore di lavoro, ai fini della dimostrazione dell'intervenuto adempimento dell'obbligo informativo, sebbene detta nota, da un lato, fosse antecedente l'entrata in vigore della norma nella sua nuova formulazione e, dall'altro, riguardasse le modalità di effettuazione dei controlli sui dipendenti ma non anche le modalità di uso degli strumenti di lavoro»
La Suprema Corte rigetta il ricorso rilevando che, nel caso di specie, il datore di lavoro aveva correttamente trasmesso alla generalità dei propri dipendenti, indipendentemente dalla loro qualifica, attività o funzione, stabile o temporanea, «idonea notizia (…) delle modalità di uso degli strumenti informatici "e di effettuazione dei controlli", nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196» e ciò in ragione della stretta ed essenziale inerenza all'attività bancaria esercitata dal datore di lavoro, della tutela della riservatezza della clientela e del rischio diffuso di indebiti accessi alle relative posizioni tramite l'utilizzo dei sistemi informatici. Pertanto, seppure l'informativa trasmessa dal datore di lavoro fosse antecedente alla modifica dell'art. 4 dello Statuo dei Lavoratori avvenuta con l'art. 23 del d.lgs. 151/2015, doveva ritenersi idonea ai fini previsti dalla legge.

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