Contenzioso

Lavoratori a termine, la parità di trattamento non va interpretata in maniera restrittiva

di Valeria Zeppilli

I lavoratori a termine sono tutelati da un principio di non discriminazione, sancito a livello europeo e che impedisce che gli stessi vengano trattati in maniera differente rispetto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato.

Per la Corte di cassazione (sezione lavoro, 16 marzo 2020, numero 7309), tale principio, oltre ad avere carattere incondizionato, non può essere interpretato in maniera restrittiva e può essere invocato dai lavoratori direttamente dinanzi al giudice nazionale, tenuto ad applicare la normativa dell'Unione e i diritti che questa attribuisce, eventualmente anche disapplicando le disposizioni contrarie del diritto interno.

Il principio di non discriminazione dei lavoratori assunti a tempo determinato ha molteplici corollari, tra i quali quello relativo alle retribuzioni. A tale proposito, come rilevato dai giudici della Suprema Corte, coloro che sono assunti a termine possono legittimamente chiedere di beneficiare di una condizione di impiego riservata solo ai lavoratori a tempo indeterminato, e ciò nonostante la riserva di competenza degli Stati (o delle parti sociali) in materia. Tra le condizioni di impiego vi sono anche le maggiorazioni retributive connesse all'anzianità di servizio che quindi, nel rispetto del principio di non discriminazione, possono essere negate ai lavoratori a tempo determinato solo se sussiste una giustificazione oggettiva.

Ma cosa si intende per giustificazione oggettiva? Secondo la Cassazione, essa coincide con «elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate». Non basta, invece, la sussistenza di una norma di legge o di contratto che stabilisca la diversità di trattamento e nemmeno rileva la natura pubblica o meno del datore di lavoro.

Anche la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, richiamata dalla Corte di cassazione, ha del resto chiarito che, in materia di pubblico impiego, non è possibile escludere in maniera assoluta che i periodi di servizio che un lavoratore abbia prestato presso la pubblica amministrazione a tempo determinato siano presi in considerazione per determinarne l'anzianità al momento in cui lo stesso è assunto dalla stessa autorità pubblica a tempo indeterminato, nell'ambito di una procedura specifica di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro.

Tale esclusione è infatti ammissibile solo ed esclusivamente se vi siano ragioni oggettive, che non possono ravvisarsi nella semplice circostanza che il lavoratore abbia compiuto i periodi di servizio sulla base di un contratto di lavoro a tempo determinato.

Considerato che l'interpretazione delle norme dell'Unione europea da parte della Corte di giustizia ha carattere vincolante per il giudice nazionale, da tale principio non è possibile discostarsi: i lavoratori a termine hanno pieno diritto a che il lavoro prestato venga computato nella loro anzianità di servizio.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©