Contenzioso

Il danno professionale va parametrato alla durata e all’entità del demansionamento subito

di Flavia Maria Cannizzo

La quantificazione del risarcimento del danno professionale per demansionamento va effettuata sulla base dei parametri della durata e dell'entità della condotta datoriale illegittima. La Corte di cassazione, con ordinanza n. 7483 del 23 marzo 2020, torna a pronunciarsi su uno degli aspetti maggiormente discussi in materia di demansionamento, fornendo indicazioni orientative di rilievo per gli operatori del diritto del lavoro.
La pronuncia interviene a definire una complessa vicenda processuale che ha visto contrapposte, per ben due giudizi, una grande compagnia di telecomunicazioni italiana e una dipendente addetta agli uffici di Napoli.
Nel 2007, con sentenza passata in giudicato, la lavoratrice aveva visto riconosciuto il suo diritto a un diverso e superiore inquadramento (con le conseguenti statuizioni economiche), e, ciò nonostante, di lì in avanti si era trovata a patire la dequalificazione determinata da un consistente svuotamento di mansioni, per cui aveva nuovamente fatto ricorso ai giudici del lavoro.
I giudici di merito partenopei, nel secondo e più recente giudizio, hanno accertato che la dipendente è stata effettivamente vittima di condotte dequalificanti fra il luglio 2007 e il luglio 2009, venendo privata sistematicamente delle funzioni di coordinamento che sarebbero state proprie del suo ruolo. Pertanto, alla luce del lungo protrarsi di tali condotte e dell'entità delle stesse, hanno quantificato il danno professionale dalla medesima subito nella considerevole misura del 50% delle retribuzioni maturate nell'arco temporale in questione.
Contro la condanna in appello, la compagnia telefonica ha proposto ricorso in Cassazione, deducendo, fra l'altro, l'inadeguata e/o insufficiente allegazione del danno e la carenza di prova dello stesso, sulla base dell’annosa affermazione che non esista nel nostro ordinamento un danno in re ipsa.
Ebbene, i giudici di legittimità rigettano il ricorso datoriale, cogliendo l'occasione per affermare il corretto operato dei giudici di merito nella liquidazione equitativa del danno, che hanno motivato sulla base dei due parametri essenziali della qualità delle condotte datoriali (il perdurante svuotamento delle mansioni condotto tramite la privazione continua delle funzioni di coordinamento caratterizzanti l'incarico formale) e della durata delle stesse (ben due anni).
In punto di prova, poi, la Cassazione chiarisce che, se è pur vero che il danno da demansionamento e dequalificazione non ricorra automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, è altresì vero che esso possa ben essere provato facendo ricorso all'articolo 2729 del Codice civile mediante l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, quali: la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, ovvero ancora la durata del demansionamento (nello stesso senso: Cass. 3 gennaio 2019 n. 21).
Dunque, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto fondate le ragioni della lavoratrice, condannando la società a corrisponderle un risarcimento pari alla metà delle retribuzioni percepite nel biennio in questione.

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