Contenzioso

Negato il premio di produzione risultante solo da una scrittura privata

di Salvatore Servidio

Con l'ordinanza 21 aprile 2020, n. 7974, la Corte di cassazione respinge il ricorso, affermando che il lavoratore, che ne era gravato, non ha provato il suo diritto a percepire il premio di produzione azionato.

Nel caso trattato un lavoratore chiedeva che venisse accertata e dichiarata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenza della società datrice e della subentrante per effetto di trasferimento d'azienda, con condanna delle convenute al pagamento delle differenze retributive spettanti.

Il Tribunale adito accolse in parte la domanda, annullando il licenziamento intimato con ordine di reintegrazione del lavoratore, ma ha rigettando le altre domande, ivi compresa quella di pagamento del premio di produzione da parte della prima datrice.

Il gravame del lavoratore nei confronti della prima datrice venne respinto dalla Corte d'appello, dichiarando estinto il giudizio con la seconda, dato che le parti avevano conciliato la controversia. Il Collegio, in particolare, preso atto che il giudizio era proseguito solo con riguardo alla domanda di condanna al pagamento del premio di produzione, mentre le domande afferenti il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso e delle differenze sul Tfr erano invece coperte da giudicato, ha evidenziato che il lavoratore, che ne era gravato, non aveva provato il suo diritto a percepire il premio richiesto. Peraltro, del premio di produzione era fatta menzione solo in una scrittura privata del 2007, che però era priva della specificazione dell'oggetto della prestazione lavorativa. Inoltre, la relativa voce retributiva non era stata poi trascritta nel contratto di collaborazione sottoscritto dalle parti, per cui il giudice ha ritenuto che quella scrittura privata dovesse essere interpretata come impegno a una futura assunzione, che non integrava un contratto preliminare e poteva avere, al più, valore meramente indiziario della volontà delle parti che avevano stipulato il successivo contratto, ovvero per completare il quadro probatorio derivante da altri elementi di prova, nella specie insussistenti atteso che le dichiarazioni rese dal teste escusso non erano precise nel definire il contenuto del compenso convenuto.

Nel conseguente ricorso per Cassazione il lavoratore sostiene che in maniera contraddittoria la Corte territoriale ha ritenuto che, verosimilmente, il premio dovuto sarebbe stato pagato in nero e ha poi escluso che il diritto sia stato provato. Così facendo, il giudice del riesame avrebbe accertato il fatto diversamente da quanto affermato in primo grado, ove era stato ritenuto spettare il premio poi pagato in nero, e che non vi fosse la prova che la somma non fosse dovuta. Afferma il ricorrente, inoltre, che l'onere di provare l'avvenuto pagamento del premio, una volta verificato il diritto alla prestazione, gravi sul datore di datore e non sul lavoratore.

Nel decidere la questione la Corte di legittimità, con l'ordinanza n. 7974/2020, rigetta il ricorso affermando che il lavoratore, seppure abbia ottenuto il riconoscimento dell'esistenza del rapporto di lavoro e il diritto all'integrazione dei contributi, con annullamento del licenziamento intimato e reintegrazione, deve rinunciare al diritto al premio di produzione in quanto risultante solo da una scrittura privata.

I motivi prospettati dal lavoratore vengono dichiarati inammissibili in quanto con le rispettive censure si pretende che la Suprema Corte proceda a una nuova e diversa valutazione delle dichiarazioni esaminate in appello e dei fatti acquisiti al processo che, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, sono state esaminate sulla base di una loro plausibile ricostruzione e, come tali, non censurabili in sede di legittimità. Ciò in quanto la valutazione del giudice di merito non solo non è il risultato di una inversione degli oneri della prova (art. 2697 del Codice civile) ma neppure di una violazione delle disposizioni processuali denunciate (cfr. Cass. n. 11738/2016).

Inoltre, la Sezione lavoro sottolinea che laddove sia stata denunciata falsa applicazione della regola del tantum devolutum quantum appellatum (articolo 437 del Codice di procedura civile), è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per Cassazione, che nel ricorso stesso sia riportata in precisi termini e non vagamente - come invece è avvenuto nel caso di specie - quella parte della motivazione della sentenza di primo grado dalla quale si evincerebbe, secondo il lavoratore, il positivo accertamento dell'esistenza del diritto a percepire il premio di produzione rivendicato, che il Tribunale afferma essere stato verosimilmente corrisposto "al nero".

Di qui la conferma del giudicato di merito sfavorevole al lavoratore per pretesa non provata.

In breve, i premi di produzione costituiscono elementi integrativi della retribuzione di base e consistono sostanzialmente in veri e propri compensi aggiuntivi cui, in linea generale, è attribuita natura retributiva.
Nati come strumenti correlati, mediante differenti forme, alla produttività aziendale, al fine di far partecipare i lavoratori ai benefici di quest'ultima, dotando tali compensi di una finalità espressamente incentivante, in breve tempo sono stati poi trasformati dalla contrattazione aziendale in veri e propri compensi fissi: essi sono quindi diventati concretamente un'integrazione alla retribuzione di base avente periodicità plurimensile (in genere annuale).
In base all'articolo 1, comma 182, della legge n. 208/2015, salva espressa rinuncia scritta del prestatore, sono soggetti a una imposta sostitutiva dell'Irpef e addizionali regionali e comunali del 10%, entro il limite di importo complessivo di 3mila euro lordi, i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, nonché le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell'impresa (v. Circolare Agenzia Entrate n. 28/E/2016).

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