Contenzioso

Il diritto al lavoro agile del dipendente disabile, la posizione del tribunale di Bologna

di Mario Gallo

L'emergenza da coronavirus sta incidendo sempre di più sulla normativa ordinaria in quanto negli ultimi mesi sono stati emanati numerosi provvedimenti che hanno apportato modifiche rilevanti a diversi istituti; un caso emblematico è, certamente, quello del lavoro agile, introdotto nel nostro ordinamento giuridico dalla legge n.81/2017, con la finalità di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (art. 18, comma 1).

Tuttavia, a causa della pandemia in corso il Governo, con i diversi Dpcm e con il Dl n. 18/2020 (decreto "Cura Italia") ne ha modificato profondamente lo scopo che, almeno fino al termine dell'emergenza, è quello di misura prioritaria finalizzata a contribuire alla riduzione del rischio di contagio da Covid-19, grazie al fatto che la prestazione lavorativa non è svolta all'interno dell'azienda ma, al momento, presso il domicilio del lavoratore che non avrà, quindi, la necessità di recarsi al lavoro con tutto ciò che ne può conseguire.

Questa nuova "dimensione" nasce dall'articolo 1, comma 7, del Dpcm 3 marzo 2020, riprodotto da ultimo nel Dpcm 26 aprile 2020, che raccomanda «il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza», a cui ha fatto seguito, poi, una disciplina finalizzata sia a semplificare i rapporti, che a favorire attraverso l'articolo 39 del Dl n.18/2020, la collocazione in smart working di alcune categorie di "lavoratori deboli" su cui si è espresso il Tribunale di Bologna, con la sentenza 23 aprile 2020, n. 2759.

Il caso.
La vicenda sottoposta al Giudice del lavoro, in via d'urgenza ex articolo 700 del Codice di procedura civile, riguarda un'impiegata inquadrata nel secondo livello del Ccnl commercio, addetta al settore fiscale, che a fine marzo con mail aveva chiesto al proprio datore di lavoro di essere collocata in modalità lavorativa agile, per il periodo dell'emergenza da coronavirus, allegando certificazione del suo stato d'invalida in misura del 60 per cento.

L'azienda, però, rispondeva facendo presente che sarebbe stata messa in cassa integrazione per la settimana successiva, avvertendo che «qualora dovesse riprendersi l'attività lavorativa prenderemo in esame le richieste pervenute»; a quando sembra di capire successivamente l'attività è ripresa collocando in smart working i colleghi dell'ufficio fiscale ma non la stessa ricorrente la quale, peraltro, ha anche una figlia affetta da disabilità ai sensi dell'articolo. 3, comma 3, della legge n.104/1992.

Da qui il ricorso della lavoratrice, finalizzato a ottenere di poter lavorare da casa.

Il regime protettivo del decreto Cura Italia
Il giudice del lavoro ha accolto il ricorso, ritenendo applicabile il regime protettivo per i lavoratori disabili in condizioni gravi o che assistono persone gravemente disabili, previsto dal citato articolo 39 del Dl n.18/2020.

Tale norma, infatti, modificata in sede di conversione dalla legge n.27/2020, stabilisce che fino alla cessazione dello stato di emergenza, i lavoratori dipendenti disabili o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni del già citato articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992, hanno «diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione» (comma 1); inoltre, ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile e tali tutele si applicano anche ai lavoratori immunodepressi e ai familiari conviventi di persone immunodepresse (comma 2 e comma 2-bis).

Nel caso di specie, quindi, il giudice ha ritenuto sussistente, alla luce di tale disposizione, il diritto della ricorrente a essere collocata in modalità lavorativa agile in quanto, in primo, luogo soggetto «fragile» essendo essa invalida ad avendo, per giunta, a proprio a carico una figlia affetta da grave disabilità .

Sotto tale profilo, infatti, viene sottolineato che «Trattasi di due soggetti gravemente esposti al rischio di contagio, anche in forma grave, e l'emergenza sanitaria è ancora in corso. Vi è più che fondato timore di ritenere che lo svolgimento della attività di lavoro in modalità ordinarie, uscendo da casa per recarsi al lavoro, esponga la ricorrente, durante il tempo occorrente per una pronuncia di merito, al rischio di un pregiudizio imminente ed irreparabile per la salute sua e della figlia convivente».

Compatibilità del lavoro agile con le caratteristiche della prestazione
Al tempo stesso il giudice del lavoro ha anche riconosciuto come sussistente la compatibilità della modalità agile del lavoro con le caratteristiche della prestazione, in quanto la ricorrente già utilizzava ordinariamente telefono e strumenti informatici.
Di conseguenza con decreto ex articolo 669-sexies, n. 2, del Codice di procedura civile ha ordinato al datore di lavoro di procedere immediatamente ad assegnare la ricorrente a modalità di lavoro agile, dotandola degli strumenti necessari o concordando l'uso di quelli personali.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©