Contenzioso

Retribuzioni versate parzialmente: cade il reato fiscale se il falso non finisce in dichiarazione

di Salvatore Servidio

La Corte di cassazione afferma che non commette reato di dichiarazione fraudolenta (articolo 2, Dlgs n. 74/2000) l'amministratore di una società, la quale, trovandosi in condizioni economiche precarie, versi ai dipendenti soltanto una parte delle retribuzioni risultanti dalle buste paga, riportando l'intero importo nel libro giornale e indicando le somme ancora dovute nel passivo del bilancio societario alla voce "debiti verso i dipendenti".

La vicenda
Nel caso oggetto della sentenza 15 maggio 2020, n. 15241, della Terza Sezione Penale della Cassazione, la Corte d'appello confermava il primo grado, con cui l'imputato era stato giudicato colpevole del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'articolo 2 del Dlgs 10 marzo 2000, n. 74. Nella specie si contestava al contribuente che la società da lui amministrata, in precarie condizioni economiche, negli anni di interesse avrebbe versato a due dipendenti soltanto una parte della retribuzione risultante dalle buste paga, computando il resto al passivo nel bilancio societario, alla voce "debiti verso dipendenti".
Nel conseguente ricorso per Cassazione l'imputato deduce, oltre a vizi di motivazione, la violazione dell'articolo 2 del D.Lgs. n. 74/2000 in relazione all'articolo 83 del Dpr del 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto, in forza di noti precetti contabili, il ricorrente avrebbe esposto nel conto economico e nel bilancio della società, per gli anni 2012 e 2013, le retribuzioni e gli altri compensi dovuti ai due dipendenti, pur avendo corrisposto loro soltanto acconti e non il saldo. In tal modo l'imputato avrebbe rispettato le disposizioni in tema di formazione del conto economico e del bilancio, le quali prevedono che i costi debbano esser esposti per competenza e non per cassa. Anche a esporre nel conto economico e nel bilancio gli elementi passivi ritenuti fittizi, i due esercizi si sarebbero comunque conclusi con un disavanzo. Parimenti, anche il riferimento ai modelli DM10 presentati dalla società risulterebbe del tutto incongruo, dato che gli stessi non sarebbero mai stati acquisiti e nulla sarebbe stato contestato quanto al pagamento degli oneri contributivi.

La decisione
Nel decidere la vertenza, con la sentenza n. 15241/2020, la Sezione Terza Penale accoglie il ricorso dell'imputato, affermando il principio che non incorre nel reato di dichiarazione fraudolenta l'amministratore di una società che, trovandosi in condizioni economiche precarie, versi ai dipendenti soltanto una parte delle retribuzioni risultanti dalle buste paga, riportando l'intero importo nel libro giornale e indicando le somme ancora dovute nel passivo del bilancio societario alla voce "debiti verso i dipendenti".
Si precisa innanzitutto che, nella fattispecie, è pacifico che la condotta contestata all'imputato è l'avvenuto pagamento a due dipendenti - per gli anni 2012 e 2013 - di somme inferiori a quelle indicate nelle rispettive buste paga; importi, questi ultimi, riportati per intero nel libro giornale della società. Altrettanto certa è altresì l'esposizione in bilancio delle somme residue (comunque) dovute e non corrisposte, ivi indicate quali "debiti verso dipendenti".
Nell'accogliere il ricorso dell'imputato, la Cassazione si pone in contrario senso alla doppia conforme di merito, dal momento che sia i giudici di primo grado, sia quelli d'appello lo avevano condannato per aver integrato la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di documenti falsi ex articolo 2 del Dlgs n. 74/2000. Muovendo proprio da quest’ultimo articolo, secondo cui chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l'Iva, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi, osserva il Collegio che, nel caso in esame, non risulta che nessuna ipotetica falsità sia stata inserita in una dichiarazione fiscale presentata, non emergendo che la discrasia contabile pacificamente realizzata dal ricorrente sia confluita in una delle dette dichiarazioni.
Anche qualora si concludesse in termini diversi, ossia ammettendo che una dichiarazione alterata fosse stata presentata per gli anni 2012 e 2013, sottolinea la Sezione Penale, l'eventuale fattispecie di riferimento dovrebbe essere individuata non nell'articolo 2, ma nel successivo articolo 4, relativo alla dichiarazione infedele.
La pacifica indicazione nel bilancio - sotto la voce "debiti verso dipendenti" - delle somme dovute dalla società e indicate sia nelle buste paga, sia nel libro giornale, ma non effettivamente corrisposte, impedisce, quindi, di ritenere che il ricorrente abbia tenuto un comportamento fraudolento o che si sia avvalso di fatture o documenti per operazioni inesistenti (le prestazioni lavorative erano state effettivamente tenute, ed i relativi costi effettivamente riportati nelle buste paga), o, ancora, che abbia impiegato altri artifici di cui all'articolo 3 del Dlgs n. 74/2000. Ciò perché le prestazioni lavorative erano state effettivamente tenute e i relativi costi effettivamente riportati nelle buste paga.
Nella specie, i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio, ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali.
Nel caso di specie, precisa la Cassazione, risulta verificatasi proprio quest'ultima ipotesi, atteso che il ricorrente, nell'indisponibilità dell'intera somma da versare ai dipendenti, ne aveva, pacificamente corrisposto una parte, indicando poi la residua proprio nel bilancio, e correttamente riportando l'intero nello stesso atto secondo il criterio di competenza, e non di cassa, ai sensi dell'articolo 109 del Tuir.
Quel che incide non soltanto sul profilo oggettivo della contestazione (escludendolo), ma anche su quello psicologico, conclude la Cassazione, è che, a fronte di una condotta tenuta in assoluta aderenza alle regole contabili, non risulta il dolo specifico sostenuto dall'articolo 2 in questione e che i giudici del merito hanno individuato anacronisticamente richiamando i modelli DM10 (relativi agli oneri previdenziali).

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