Contenzioso

Licenziamenti, per l’indennità l’anzianità non basta

di Claudio Tucci

Anche nei licenziamenti illegittimi viziati da errori formali o procedurali l’indennità monetaria che spetta al lavoratore non può essere ancorata al solo elemento dell’anzianità di servizio, ritenuto, pure in queste fattispecie “minori” di recessi datoriali, “un criterio rigido e automatico”. Con queste poche parole, ieri, la Consulta, esaminando le questioni di costituzionalità sollevate dai tribunali di Bari e di Roma, ha reso noto di aver dichiarato incostituzionale parte dell’articolo 4 del Dlgs 23 del 2015, in particolare l’inciso “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” (vale a dire, il criterio attualmente fissato per determinare il ristoro economico a favore del lavoratore illegittimamente licenziato per vizi formali o procedurali, che oscilla da due a 12 mensilità).

Il comunicato stampa della Consulta (le motivazioni della pronuncia verranno depositate nelle prossime settimane) ha confermato sostanzialmente la linea già adottata dai giudici costituzionali nell’autunno del 2018, quando, per la prima volta, e in generale, nei casi di licenziamenti ingiustificati rientranti nella nuova disciplina delle tutele crescenti, è stato dichiarato incostituzionale il criterio della sola anzianità di servizio per determinare gli indennizzi targati Jobs act. L’effetto di quella pronuncia è stato l’immediato ritorno alla discrezionalità dei magistrati del lavoro nel determinare l’indennità risarcitoria nella delicata materia dei licenziamenti. Il criterio dell’anzianità di servizio, infatti, aveva ispirato la riforma del 2015 con l’obiettivo di dare certezza a imprese e lavoratori sui costi di “separazione” (adesso i giudici, secondo quella sentenza, del 2018, della Corte costituzionale, nel determinare l’indennità monetaria, dopo il decreto dignità salita a minimo 6 massimo 36 mensilità, devono tener conto non solo dell’anzianità di servizio ma anche di altri criteri, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti).

Con il comunicato stampa di ieri, la Consulta ha, nei fatti, confermato questa impostazione, dichiarando incostituzionale il criterio della sola anzianità di servizio anche nelle ipotesi di licenziamento illegittimo per vizi formali o procedurali (quando usciranno le motivazioni si vedrà se saranno fornite ulteriori indicazioni, visto anche che il Legislatore, dal 2018 a oggi, non è mai intervenuto per armonizzare la disciplina alla luce di queste pronunce).

La nuova bocciatura del Jobs act è accolta con favore dalla Cgil, da sempre contraria alle tutele crescenti, che hanno marginalizzato la sanzione della reintegra in gran parte dei licenziamenti illegittimi. Di diverso avviso gli esperti: «Anche questa decisione – ha replicato Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Roma “La Sapienza” - avrà l’unico effetto di aumentare l’incertezza. Adesso anche per un mero vizio procedurale o di forma, ad esempio un errore su un termine, l’azienda rischia di essere condannata al massimo dell’indennizzo».

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