Contenzioso

Al lavoratore reintegrato, retribuzione arretrata con contributi

di Silvano Imbriaci

L'obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro si compone di una quota ordinaria (onere diretto del datore di lavoro) e di una quota a carico del lavoratore. Secondo l'indicazione contenuta nell'articolo 2115 del Codice civile, il datore e il prestatore di lavoro contribuiscono in parti eguali alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salva diversa regolamentazione contenuta nelle leggi speciali (oggi, la regola).

Il secondo comma dell'articolo 2115 prevede peraltro che il datore di lavoro sia l'unico responsabile del versamento della contribuzione, anche della quota posta a carico del lavoratore. La legge 218/1952 nel ribadire questo principio (articolo 19) e nel descrivere il meccanismo della ritenuta della contribuzione dovuta dal lavoratore sulla retribuzione corrisposta, si pone anche il problema della tenuta del meccanismo di ripartizione degli oneri contributivi nel caso di inadempimento del datore di lavoro nel pagamento dell'obbligazione previdenziale alle scadenze di legge.

Posto che il datore di lavoro risulta, secondo la giurisprudenza più consolidata (Cassazione 12758/1998), l'unico responsabile per il pagamento dell'intera contribuzione (fatto salvo il rapporto di rivalsa con il lavoratore), il mancato pagamento della contribuzione da parte del datore di lavoro nei termini di legge impedisce anche il diritto di rivalsa (articolo 23 della legge 218) e quindi pone definitivamente a carico del datore di lavoro l'intero obbligo contributivo, compresa la quota a carico.

La pronuncia della Cassazione del 25 giugno 2020, numero 12708 affronta il tema degli effetti dell'inadempimento contributivo sulla quota a carico, in una situazione abbastanza particolare, ossia quella del pagamento di retribuzioni arretrate a seguito di declaratoria di nullità del recesso e ripristino del rapporto di lavoro.

In particolare, nel caso di specie, la lavoratrice ha chiesto il pagamento delle mensilità arretrate riconosciute a titolo di danno per licenziamento inefficace, nell'importo globale, comprensivo anche della quota a carico (pari al 9,19%). La domanda non attiene dunque al pagamento degli importi contributivi a carico della società datrice di lavoro, ma solo al pagamento di quella parte di retribuzione corrispondente alle trattenute previdenziali a carico del lavoratore, sul presupposto della corretta applicazione dell'articolo 23.

La domanda che si pone la Cassazione è dunque la seguente: nell'ambito del risarcimento del danno dovuto a seguito di reintegrazione, deve evidenziarsi un diritto del lavoratore a ottenere le retribuzioni arretrate senza la decurtazione del 9,19 per cento?

La regola generale da cui ricavare la soluzione al quesito prevede che soltanto il datore di lavoro che corrisponda tempestivamente i crediti retributivi può legittimamente operare la trattenuta da versare all'ente previdenziale, mentre tale comportamento è inibito in caso di ritardo o mancata corresponsione della retribuzione, da valutarsi, nell'ottica del licenziamento, nel momento in cui viene a scadenza l'obbligo e non nel momento in cui viene accertato giudizialmente l'inadempimento.

Ebbene, se questa è la regola, in caso di licenziamento annullato, il rapporto contributivo non si è mai interrotto e la parte datoriale non è esentata dall'obbligo di versare la contribuzione per intero, compresa la quota a carico. In questo senso vi è la piena applicazione dell'articolo 23 che impone il pagamento di tale quota a carico del datore di lavoro, quasi a sanzionare ulteriormente l'inadempimento del datore di lavoro con una quota in più rispetto all'importo che sarebbe stato sufficiente, invece, in caso di corretto e tempestivo adempimento.

Allo stesso modo, nella fase che segue al licenziamento illegittimo e fino alla reintegra, il datore di lavoro può procedere alle ritenute previdenziali della quota a carico, secondo le regole ordinarie, solo nel caso di tempestivo pagamento dei contributi (Cassazione 20753/2018). In caso contrario, ove vi sia un oggettivo inadempimento, la quota contributiva rimane a carico del datore di lavoro, e il lavoratore rimane liberato dall'obbligo: con la conseguenza che la parte di retribuzione che costituisce la provvista di detta quota a carico deve essere "restituita" al lavoratore, nel senso che il suo credito retributivo deve essere necessariamente calcolato al lordo della quota contributiva che in via ordinaria graverebbe su di lui.

In altre parole è come se la condotta illegittima del datore di lavoro nel pagamento della retribuzione, in qualche modo, producesse i suoi effetti negativi sull'importo della retribuzione arretrata da versare, da calcolarsi al lordo, e cioè come comprensiva anche della quota di contribuzione a carico del lavoratore, che torna così a essere parte integrante della retribuzione a tutti gli effetti.

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