Contenzioso

Lavoro autonomo o subordinato? L’annosa questione torna in Cassazione

di Valeria Zeppilli

Il passare degli anni e l'evolversi del diritto del lavoro non hanno mai spento uno dei dilemmi "classici" che animano gli interpreti, che anzi trova continuamente nuova linfa: qual è la linea di demarcazione tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato?
La semplicità con la quale i due tipi di rapporto sono sorti, infatti, è stata nel tempo messa a dura prova dalla comparsa di molteplici fattispecie per così dire ibride, che non riescono a essere collocate agilmente nell'una o nell'altra categoria. Così, la giurisprudenza riceve continue esortazioni a chiarire in maniera esatta i confini tra il lavoro autonomo e subordinato, essendo in tal modo investita di un compito tutt'altro che agevole, con il quale la Corte di cassazione si è cimentata anche nei giorni scorsi (sezione lavoro, 26 giugno 2020, n. 12871).
Il tentativo di precisare quando un certo rapporto possa essere qualificato come lavoro autonomo o come lavoro subordinato è resa nei fatti oltremodo difficile dalle sollecitazioni che derivano dalla continua evoluzione della vita quotidiana e della realtà sociale. Per i giudici, non è infatti possibile non considerare che la locatio operis e la locatio operarum sono pervase di "elementi per così dire perturbatori", che rendono arduo il lavoro dell'interprete, chiamato ad accertare la realtà fattuale in maniera approfondita e ad affinare i canoni classici della teoria ermeneutica.
I principi generali che permettono di risolvere la questione sono tuttavia ormai consolidati e figli di un insegnamento giurisprudenziale consapevole e radicato, che la Corte è tornata a ribadire.
Innanzitutto, occorre identificare l'elemento essenziale che differenzia il lavoro autonomo da quello subordinato nella soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che caratterizza la seconda delle due predette fattispecie e che va verificato, preliminarmente, accertando le modalità con le quali in concreto si svolge la prestazione lavorativa.
In subordine, è poi possibile considerare che la nozione di subordinazione deve essere intesa come disponibilità nei confronti del datore di lavoro e assoggettamento alle sue direttive. Non sono invece determinanti in tal senso, ma solo indicativi di una simile condizione, elementi ulteriori quali l'assenza di rischio economico, il luogo della prestazione, la forma della retribuzione e la collaborazione. Tali elementi, infatti, possono risultare conciliabili anche con la qualificazione di un rapporto come lavoro autonomo.
Infine, non può non tenersi conto della volontà delle parti e del reciproco affidamento: se vi sono elementi compatibili sia con il lavoro autonomo che con il lavoro subordinato, ma le parti hanno dichiarato di voler escludere la subordinazione, per poter superare tale qualificazione occorre riuscire a dimostrare che, nei fatti, nello svolgimento del rapporto la subordinazione si sia invece realizzata. Il nomen iuris dato dalle parti, quindi, in astratto non è vincolante per il giudice, ma per superarlo occorre la presenza di "effettive, univoche, diverse modalità di adempimento della prestazione", alle quali va data prevalenza in caso di contrasto con i dati con i quali la natura del rapporto era stata inizialmente individuata.

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