Contenzioso

Licenziamenti illegittimi, non basta l’anzianità per decidere l’indennizzo

di Matteo Prioschi e Claudio Tucci

Il criterio dell’anzianità di servizio per determinare, nel nuovo sistema delle tutele crescenti, gli indennizzi monetari in caso di licenziamento viziato sotto il profilo formale o procedurale è “illegittimo” perché «non fa che accentuare la marginalità dei vizi formali e procedurali e ne svaluta ancor più la funzione di garanzia di fondamentali valori di civiltà giuridica, orientati alla tutela della dignità della persona del lavoratore». Specie nei casi di anzianità modesta, «si riducono in modo apprezzabile sia la funzione compensativa sia l’efficacia deterrente della tutela indennitaria»: la soglia minima di due mensilità non è sempre in grado di porre rimedio all’inadeguatezza del ristoro riconosciuto dalla legge.

Queste alcune considerazioni contenute nella sentenza 150/2020 della Corte costituzionale pubblicata ieri (relatrice Silvana Sciarra) che, sulla scia di quanto già deciso nel 2018 per l’articolo 3 del Dlgs 23/2015 (licenziamento per motivo oggettivo), ha bocciato l’articolo 4 dello stesso decreto nella parte relativa alla determinazione automatica dell’indennità risarcitoria in caso di recesso illegittimo per vizi di forma o di procedura. Infatti restano validi il minimo di due mensilità e il massimo di 12 entro cui decidere l’importo, mentre è stato giudicato illegittimo il meccanismo per cui l’indennità è pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.

La novità contenuta nella pronuncia arriva però più avanti, quando la Consulta si sofferma sui criteri che i giudici di merito dovranno seguire per determinare l’importo caso per caso. Ebbene, l’anzianità di servizio, ha affermato la Corte costituzionale, rappresenta comunque «la base di partenza della valutazione». Poi, «in chiave correttiva» e «con apprezzamento congruamente motivato», il giudice potrà ponderare anche altri criteri desumibili dal sistema, che concorrano a rendere la determinazione dell’indennità aderente alle particolarità del caso concreto. Potranno venire in rilievo, in tale valutazione, anche la gravità delle violazioni, il numero degli occupati, le dimensioni dell’impresa, il comportamento e le condizioni delle parti.

Nella sentenza 194/2018, relativa all’articolo 3 del Dlgs 23/2015, la Corte costituzionale ha affermato, invece, che nella valutazione il giudice tiene conto «innanzi tutto dell’anzianità di servizio... nonché degli altri criteri già prima richiamati, desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)».

Secondo Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro all’università La Sapienza di Roma, «con questo passaggio la Consulta riconosce espressamente che l’anzianità di servizio è il criterio da applicare e può anche essere esaustivo nel definire la misura dell’indennità. Gli altri eventuali criteri indicati dalla Corte non sono perciò da intendersi integrativi all’anzianità, ma applicabili solo in funzione residuale e, come detto, correttiva». Orientamento che, ha spiegato Maresca, vale anche per l’articolo 3.

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